All’alba del 28 marzo 1848 una colonna di circa 2.500 austriaci, scacciata da Milano dopo le celeberrime cinque giornate, è diretta verso la Fortezza di Peschiera del Garda, una delle fortezze del famoso “Quadrilatero”. Giunta nei pressi del ponte dell’Irta, una delle quattro entrate di Pozzolengo, il manipolo si trova davanti a una barricata presidiata da circa ottanta persone malamente armate.
Chi li guida, un certo Pozzi, aveva combattuto sotto le insegne di Napoleone Bonaparte e, temerariamente, sale sulla barricata e intima agli austriaci la resa. Ovviamente, le sue parole sono accolte da una scarica di fucileria da parte degli austriaci: inizia così il “saccheggio di Pozzolengo” del 28 marzo 1848. Gli austriaci, demolita la barricata, se ne trovano davanti un’altra all’entrata del paese, demolita anche quella si riversano nel paese sparando e abbattendo porte o ostacoli sul loro cammino. Uccidono un certo signor Malerba, che sta lavorando su un pagliaio, saccheggiano la farmacia del paese. Presso Palazzo Brighenti (dove oggi c’è il parcheggio delle poste in piazza San Martino), una ragazza di nome Geltrude Brighenti è affacciata a una finestra e tiene in braccio un bambino, vicino a lei lo zio prete, don Luigi Brighenti. Un soldato le spara (pare che la ragazza tenesse nell’altra mano una scopa che il soldato avrebbe scambiato per un fucile, ma la cosa non è certa). Il proiettile sfiora il collare del prete e colpisce in fronte Geltrude. Verso sera, gli austriaci avvertiti che si stava avvicinando una colonna di soldati italiani, lasciano Pozzolendo e se ne vanno verso la Fortezza di Peschiera del Garda. Gli italiani sono guidati dal famoso generale Longhena e dal pure famoso prete di Serle, don Boifava. L’intervento del generale Longhena era stato richiesto da Pozzi, a cui era legato da un forte rapporto di amicizia. Purtroppo, il generale Longhena giungerà troppo tardi, senza riuscire a impedire il saccheggio del paese e la morte di due persone.