Aumento della temperatura, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, precipitazioni intense, violente e concentrate in pochi giorni, siccità sul nostro versante alpino. Sono solo alcune delle conseguenze dell’evoluzione climatica accelerata in corso, che coinvolge pure la montagna e il Monte Baldo. Se le temperature continueranno a salire questo delicato Giardino d’Europa rischia di trasformarsi in un massiccio quasi deserto, con poca acqua, a rischio di incendi. Ruota attorno a queste prospettive inquietanti l’intervento che Paolo Frontero, fisico – meteorologo dell’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (Arpa), dipartimento provinciale di Verona, e collaboratore del dipartimento di Ingegneria dei materiali e dell’ambiente all’università di Modena, ha elencato al Baldofestival. «L’avvio del periodo industriale ha comportato modifiche nella composizione chimica dell’atmosfera dovute alla graduale immissione di notevoli quantità di gas serra, un insieme di composti, tra cui soprattutto biossido di carbonio e metano, capaci di alterare l’effetto serra che», ricorda Frontero, «se naturale, serve a mantenere la superficie del nostro pianeta a una temperatura media di circa 15 gradi. Questi dati preoccupanti sono confermati anche da continui rilevamenti fatti dal 1978 dal Consiglio nazionale delle ricerche sul Monte Cimone sull’Appennino tosco-emiliano, un punto rappresentativo perché in alta quota». Con delle conseguenze: «Gran parte della comunità scientifica internazionale ritiene che tali gas di immissione antropica siano la principale causa del riscaldamento. La temperatura media globale è infatti aumentata negli ultimi cento anni di 0.6 gradi e in Europa di 1.2. Il ventennio 1980 – 2000 è stato il più caldo negli ultimi 50 anni, il 2005 è stato il secondo anno più caldo dopo il 1998, in Europa il 2003 è stato caldissimo. Tra cento anni si prevedono incrementi da 1 a 5 gradi, per l’Europa tra i 2 e i 6.3 gradi, cioè una variazione media di 4 gradi. A livello locale, a Villafranca alle stazione dell’Arpa e dell’Aeronautica militare, abbiamo già elaborato dati dal 1961 al 2005, che mostrano un aumento di 0.7 gradi ogni 10 anni. Su scala globale sono aumentate le precipitazioni alle alte latitudini e si sono ridotte a quelle basse. Le regioni glaciali europee si stanno ritirando e il livello medio del mare è cresciuto di 20 centimetri nel secolo scorso». Continua Frontero: «Sono collegabili ai cambiamenti climatici in corso certi fenomeni meteorologici estremi, si studia l’insolito aumento di uragani negli Usa nel 2005, si sono registrate precipitazioni intense come nubifragi, colpi di vento, grandinate, tempeste, pesanti nevicate, alluvioni come quelle causate in questo periodo dallo straripamento del Danubio nell’Europa dell’Est. Si prevedono ondate di calore e si pensa aumenterà il numero di giorni con massime superiori ai 30 gradi: nel 2003, tra maggio e agosto, ce ne sono stati ben 70, rispetto a precedenti valori medi di 17 giorni circa. E se questo è stato un inverno normale, ne potrebbero arrivare altri con temperature superiori alle medie e aumento di periodi stabili». A Verona la tipologia delle precipitazioni è variata: «Ci sono state piogge più intense in meno giorni», precisa Frontero, «il 3 ottobre scorso sono caduti ben 61.2 millimetri di pioggia, e in 9 giorni la metà della pioggia di un intero anno, con problemi anche per gli impianti fognari». E la montagna non è un mondo a parte: «Le Alpi come gli altri rilievi sono vulnerabili ai cambiamenti climatici anche se la topologia complessa complica gli andamenti meteorologici. Si prevede sul versante alpino una minore disponibilità idrica, valutata tra il 40 e il 70 per cento. Anche il Baldo sarà sempre più soggetto a cambiamenti, qui non ci sono ghiacciai che rischiano di ritirarsi, ma se la temperatura aumenterà di un grado nei prossimi 100 anni si prevede uno spostamento di 150 metri verso l’alto dell’ecosistema, per ogni grado in più. Se essa aumenterà di 3 tre gradi il clima potrebbe avvicinarsi a quello arido dei Pirenei. Il rischio è che i boschi di lecci, faggi e pino mugo siano colpiti da parassiti, che la siccità favorisca gli incendi. Ci sarebbe scarsità d’acqua e solo oltre i 2mila metri resterebbe un po’ di vegetazione». Che fare? «È necessario un monitoraggio continuo per tenere sotto controllo le evoluzioni meteo climatiche del massiccio», dice Frontero. «L’Arpa ha posto sulle montagne venete una rete di monitoraggio nivometeorologica gestita dal Centro sperimentale valanghe di Arabba (Belluno), tra cui una stazione sul Baldo a 1751 metri vicino a Malga Zocchi, tra l’altissimo e Cima Valdritta. Altre due utili stazioni gestite da privati sono all’Osservatorio Bianchi Malcesine Monte Baldo a quota 1748 a Baita dei Forti, e al Rifugio Fiori del Baldo a 1835 metri curata da Meteomonti». Pare impossibile che l’uomo possa così forzare la natura: «Noi stiamo accelerando i tempi di riscaldamento rischiando di rompere equilibri che sarebbero poi difficili da ripristinare», allarma Frontero, «stiamo velocizzando modifiche troppo rapide per permettere alla vita e alla biosfera di adattarsi. Il protocollo di Kyoto prescrive la riduzione del 5.3 per cento dei gas serra entro il 2010, ognuno di noi può contribuire utilizzando energie alternative, come l’eolico e il fotovoltaico, dato che il consumo di combustibili fossili porta a immissione di Co2».
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Paolo Frontero ha spiegato i danni derivanti dall’aumento della temperatura