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Venezia, gli ebrei e l'Europa: 1516/2016

Affrontare il tema Shoa a partire da “Il primo ghetto” di Venezia a 500 anni della sua istituzione

Alla scadenza dei 500 anni dell’istituzione del Ghetto di Venezia, il primo ghetto, Donatella Calabi con il coordinamento scientifico di Gabriella Belli e il contributo di vari studiosi, ha realizzato una mostra “Venezia, gli ebrei e lEuropa 1516 – 2016”, volta a  descrivere i processi che sono alla base della nascita, della realizzazione e delle trasformazioni del primo “recinto al mondo, allora destinato agli ebrei.

La mostra di Palazzo Ducale, ha consentito ad un affascinante viaggio, tra arte, storia e cultura, lungo 500 anni: dagli insediamenti ebraici in Europa dopo il 1492, (data che corrisponde alla cacciata degli ebrei dalla penisola Iberica), all’istituzione del primo vero e proprio ghetto al mondo. Si articolava secondo dieci sezioni tematiche: Prima del Ghetto, La Venezia cosmopolita, Il Ghetto cosmopolita, Le sinagoghe, Cultura ebraica e figura femminile, I commerci tra XVII e XVIII secolo, Napoleone: lapertura dei cancelli e lassimilazione, Il mercante di Venezia, Collezioni, Il XX secolo. Si poteva partire dal dibattito sulla sua localizzazione, per procedere sulla crescita e la conformazione urbana e architettonica di successive espansioni (il Ghetto Novo, il Vecchio e il Novissimo); quindi si affrontavano le relazioni con il resto della città (le botteghe realtine, il cimitero, l’escavo del Canale degli Ebrei), la reintegrazione novecentesca. Sullarea tuttora abitata, consistono tre ghetti,  grazie a precisissime ricostruzioni multimediali, in mostra si evidenziavano le evoluzioni. (Nei primi decenni del XVI secolo la Repubblica Veneta aveva messo in atto una strategia urbana di accoglienza, fatta di garanzie e di sorveglianza. Gli ebrei, al pari daltre minoranze, erano “preziosi” per la Serenissima (come si legge in alcuni documenti): le sue magistrature, alcuni nobili, lo stesso doge Leonardo Loredan, che era “principe” al momento del decreto istitutivo del Ghetto (29 marzo 1516), ne erano perfettamente consapevoli. A Rialto un gruppo di giudei nel 1515 aveva anche acquisito una serie di botteghe. Venezia, che aveva concesso agli ebrei presenti sul proprio territorio –quando l’Europa li stava cacciando con i citati decreti d’espulsione dalla Spagna (1492) e dal Portogallo (1496) – d’entrare in città come rifugiati di guerra, in seguito si pose il problema di come trattare la minoranza ebraica. e lo risolse con le Grida del ‘500 che appunto istituirono il Ghetto, il recinto, le porte l’orario di apertura e chiusura…. “ La posta in gioco era la presunta difesa dei valori culturali fondamentali, di tutti quei valori che “il mito di Venezia” reputava i più essenziali in assoluto: giustizia, libertà e benessere, il tutto radicato nel buon governo e non da ultimo nella difesa delletica cristiana,…”).  Anche queste teorie e prassi si stanno riprendendo contro altri profughi, tornano Costruzioni di alti intorno a nuovi ghetti.

La  sala dedicata alle strutture abitative allinterno del Ghetto, descriveva , con le moderne tecnologie-video, lo sviluppo urbano e sociale nel recinto:  gli ampliamenti succedutosi nel tempo, l’illustrazione delle cinque sinagoghe e delle yeshivot, accanto a oggetti rituali d’argento e ai pannelli decorativi in cuoio, appartenenti al Museo Ebraico veneziano.

Significativa la riflessione sugli scambi culturali e linguistici,  tra il castello e la città, sulle abilità artigianali e sui mestieri che la comunità ebraica ha condiviso sia con la popolazione cristiana che  con tutte le minoranze presenti in una città mercantile di notevole rilevanza. Si conferma come Venezia, dinizio Cinquecento, fosse cosmopolita e si espandesse oltre che militarmente, culturalmente, raggiungendo varie sintesi di  saperi, di sapori. Ecco gli splendidi Teleri di Carpaccio , il Ritratto del doge Leonardo Loredan, (Carpaccio),  firmatario della prima grida sul Ghetto.

Bisogna ricordare che Venezia dal ‘500, era diventata la fucina dei modelli tipografici, nel campo dell’editoria produceva significativi esperimenti di testi in ebraico: la piccola grammatica l’Introductio perbrevis ad Hebraicam linguam da lui pubblicata,  la Bibbia Rabbinica curata da Felice da Prato, insieme ad esempi di pubblicazioni popolari, come i Responsa di Joseph Colon. I Libri di grande pregio: il testo di Lascaris di edizione aldina, la Torah di Maimonide. l’Ester di Leon Modena, uno straordinario trattato settecentesco illustrato di astronomia, medicina e anatomia di Tobia Coen.

Nel ‘700, gli ebrei veneziani erano ricchi borghesi : lo conferma un prezioso Contratto matrimoniale ebraico, su pergamena sagomata, come un “Nobile al banco” Disegno acquerellato di Giovanni Grevembroch, dipinto in abiti de veneziani.

Fondamentale la Sala dedicata alla caduta della della Repubblica Veneta con l’apertura delle porte per volere di Napoleone, nel 1797, alla caduta della Repubblica, alleliminazione del “recinto”,   e l’assimilazione dei Giudei nella città. Ritornando a pieno titolo nella società, molti famiglie, acquisiscono palazzi di prestigio, lungo il Canal Grande, fino a San Marco. Contemporaneamente  gli spazi architettonici del ghetto spalancati, vennero risanati e ristrutturati, I lavori si conclusero con ampia soddisfazione agli inizi del 1930 …Dopo la reintegrazione ottocentesca, la ristrutturazione novecentesca, celebrata da immagini-video, da il ritratto di Margherita Sarfatti di Wildt e Il Rabbino di Chagall, una autorevole “Letizia Pesaro Maurognato”, di Giacomo Balla, alla fine anni ’30, il regime fascista ha fatto una tragica inversione promulgando le leggi razziali e attuando la persecuzione degli Ebrei, fino ai campi di concentramento, alla Shoa…che ricordiamo appunto in questi giorni.

L’esposizione ha sottolineato la ricchezza dei rapporti tra gli ebrei e la società civile, nei diversi periodi della lunga permanenza in laguna, in area veneta e in area mediterranea.

Ma questa mostra ci ha rammentato anche come  la creazione di stereotipi, di pregiudizi dispregiativi,  sia partita da lontano, tanto che anche Shakespeare, l’aveva utilizzata ne Il mercante di Venezia. Proseguirà in tanta letteratura mondiale ed innumerevoli rappresentazioni cinematografiche-teatrali diabolicamente infausta, usata per ottenere il consenso popolare verso progetti distruttivi nazi-fascisti.

 

Nota storica

Nei primi decenni del XVI secolo la Repubblica Veneta aveva messo in atto una strategia urbana di accoglienza, fatta di garanzie e di sorveglianza. Gli ebrei, al pari d’altre minoranze, erano “preziosi” per la Serenissima (come si legge in alcuni documenti): le sue magistrature, alcuni nobili, lo stesso doge Leonardo Loredan, che era “principe” al momento del decreto istitutivo (29 marzo 1516), ne erano perfettamente consapevoli.

Dalle Grida del ‘500

“Il luogo era delimitato da due porte che, come aveva precisato il Senato il 29 marzo 1516, sarebbero state aperte la mattina al suono della “marangona” (la campana di San Marco che dettava i ritmi dellattività cittadina) e richiuse la sera a mezzanotte da quattro custodi cristiani, pagati dai giudei e tenuti a risiedere nel sito stesso, senza famiglia per potersi meglio dedicare allattività di controllo. Inoltre si sarebbero dovuti realizzare due muri alti (che tuttavia non saranno mai eretti) a serrare larea dalla parte dei rii che la avrebbero circondata, murando tutte le rive che vi si aprivano. Due barche del Consiglio dei Dieci con guardiani pagati dai nuovi “castellani”, circoleranno di notte nel canale intorno allisola per garantirne la sicurezza. Il 1 aprile successivo, la stessa “grida” venne proclamata a Rialto e in corrispondenza dei ponti di tutte le contrade cittadine in cui risiedevano i giudei”.

Dal Castello al Ghetto,  evocativo rimando al “getto” di rame e alla fonderia esistente a Canareggio prima del recinto degli ebrei – da cui sarebbe derivato il toponimo “ghetto”. La mostra,  prosegue con la visualizzazione dei flussi migratori ebraici in Europa, dopo la cacciata dalla Spagna e dal Portogallo, e con un focus sulla presenza d’insediamenti ebraici in Veneto, a Venezia (in particolare nell’area centrale e in quella mercantile) e a Mestre. A Rialto un gruppo di giudei nel 1515 aveva anche acquisito una serie di botteghe: il cuore degli affari lagunari era al tempo vivacissimo e la ricostruzione in mostra del ponte di Rialto – ancora apribile nel mezzo per il passaggio delle imbarcazioni – e degli affollati spazi di scambio eretti dopo il grande incendio del 1514 è di particolare effetto. Venezia, che aveva concesso agli ebrei presenti sul proprio territorio – anche quando l’Europa li stava cacciando dopo i noti decreti d’espulsione dalla Spagna (1492) e dal Portogallo (1496) – d’entrare in città come rifugiati di guerra, in seguito alle drammatiche conseguenze della lega di Cambrai e alla sconfitta di Agnadello, si pose presto il problema di come trattare la minoranza ebraica. “ (Allora come oggi), La posta in gioco era la presunta difesa dei valori culturali fondamentali per la percezione di se stessi. di tutti quei valori che “il mito di Venezia” reputava i più essenziali in assoluto: giustizia, libertà e benessere, il tutto radicato nel buon governo e non da ultimo nella difesa dell’etica cristiana, senza la quale non sono concepibili né la giustizia né il benessere”.

La scelta di non cacciare gli ebrei ma di mantenerli dentro il ghetto fu vissuta come il male minore e la chiusura, da palese discriminazione, finì per trasformarsi anche in unutile difesa, perché gli ebrei, soggetto politicamente debole all’esterno delle mura, diventarono all’interno autonomi, quasi padroni delle loro azioni. Si trasformò a poco a poco in un’istituzione quasi a sé, “uno scudo”, come scrive Riccardo Calimani, “che, pur nella precarietà dilagante disponeva, nonostante tutto, di poteri e privilegi che gli permettevano di farsi ascoltare e di trattare con i propri interlocutori all’esterno, con una libertà d’iniziativa in qualche caso sorprendente”. Cosmopolita al suo interno – ove vennero a convivere ebrei tedeschi e italiani, ebrei levantini, ponentini e portoghesi – il Ghetto di Venezia fu dunque una realtà fortemente permeabile, in costante interazione con l’esterno e in primis con la città lagunare, essa stessa straordinariamente multinazionale e multietnica, per convinzione o pragmatismo.

Il XIX secolo è scandito dal ritorno degli ebrei a pieno titolo in città e nella società: molti escono dal perimetro, alcune famiglie acquisiscono palazzi di prestigio, spesso lungo il Canal Grande, inizialmente nel sestiere di Cannaregio poi anche a San Marco. Alla reintegrazione novecentesca, seguì la persecuzione. ma la mostra si ferma su questa soglia.

Un famoso e grande plastico della città realizzato nel 1961 per una mostra a Palazzo Grassi darà vita, collegato a un dispositivo multimediale, a una sorta di atlante luminoso delle abitazioni ma anche delle architetture realizzate su committenza ebraica e/o ai molti dei progetti degli stessi professionisti ebrei, testimoniati anche da materiale documentario.

 Maria Teresa Martini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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