Autunno, tempo di vendemmia. Dall’uva si ricava il nettare caro a Bacco. Oggi però anche la vendemmia e la susseguente trasformazione dell’uva in vino è diventata una operazione industriale nella nostra zona del Garda come altrove.
Prendiamo, per esempio, il Lugana, un vino bianco eccellente, che in questi ultimi anni è uscito da quel piccolo alveo che si chiama terra del Lugana, una striscia di territorio antico: la Silva Lucana, che un tempo si estendeva da Peschiera del Garda a Sirmione e Desenzano, tra il lago di Garda e le prime propaggini delle Colline moreniche del Garda.
Oggi, i vigneti dell’uva Trebbiana da cui si ricava il vino Lugana, si estendono anche fuori dell’antica Silva Lucana. Certo, è tutto regolare, ma solo in nome di un maggior profitto e sempre nel nome di operazioni industriali.
I tempi in cui il singolo contadino non impiantava vigneti per poi vendere l’uva a questa o quella Cantina specializzata, ma il vino se lo faceva da sé e per consumo domestico, bastavano: una gerla (tipo quella di Babbo Natale), un tino più o meno grande a seconda della quantità di uva disponibile, poi una grande tinozza, un piccolo recipiente sempre in legno per raccogliere il mosto dalla tinozza chiamato “bassanel” e poco altro. I contadini che avevano una maggior quantità di uva, e che non potevano semplicemente pigiarla con i piedi nel tino, chiamavano qualcuno che possedeva un piccolo torchio, torchiavano l’uva e la immettevano nel tino e si ricavava il mosto, aspettando che “bollisse” per immetterlo nelle damigiane. Da queste semplici operazioni artigianali, è nato anche il “Licensì”, vale a dire quella piccola licenza che il contadino chiedeva al Comune per poter vendere all’osteria il vino per chi voleva gustare un buon bicchiere di nettare di Bacco, del territorio.
(Silvio Stefanoni)