“Un momento simpatico per aiutare il recupero del Borgo Antico e per conoscere più a fondo il Progetto della Fondazione per Campo”, affermano gli organizzatori con l’invito a vistare questo meraviglioso e suggestivo, purtroppo in grave stato di decadenza, angolo del lago di Garda.
La borgata medievale di Campo di Brenzone, oggi abitata solo da due famiglie, era, fino a tutti gli anni ’50 del secolo scorso, abitata da più numerose famiglie e contava una dozzina di bambine e bambini, oggi testimoni adulti di un’era contadina e di una civiltà che aveva in Campo la sua storia e le sue memorie.
Storia e memorie che la Fondazione Campo (istituita con atto notarile nel 2006 e registrata in Regione Veneto nel 2009), accredita dallo scorso giugno presso l’Unione europea per il progetto di messa in sicurezza e prima ristrutturazione degli edifici, vuole far rivivere a Campo grazie a un progetto di ripristino di abilità delle abitazioni in suo possesso (ca. il 62% del totale) e la apertura di laboratori tradizionali della civiltà contadina baldense.
Il Borgo di Campo, a poche decine di minuti dalla Gardesana orientale e dalla frazione di Marniga, disteso su di un terrazzamento a spalliera a circa 200 m di altezza sul lago, è ancora oggi collegato fra piano e monte con un’antica carrareccia in gran parte lastricata con pietre e ciottoli, di provenienza locale (sasso bianco o grigio chiaro), incastrati nel terreno, tra roccia viva a monte e muro di sostegno a valle, senza alcun supporto bituminoso là dove essa si mostra ancora integra: collegamento fra la zona costiera ed i pascoli del Baldo per le transumanze.
Si compone di due nuclei di abitazioni divisi da una via centrale ed una laterale verso il lago. Molte di queste abitazioni nel corso degli anni sono crollate e non sono più visibili; di esse si trova precisa documentazione nelle mappe del catasto napoleonico del 1818 e in quello austriaco del 1843. Si circonda di uliveti su tre lati e di bosco a latifoglia in parte ceduo verso il monte.
Di proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista di Brenzone, alla fine delle case della borgata, nella parte alta sul tratturo che conduce fino a Prada, sorge la chiesetta di San Pietro in Vincoli, testimonianza dell’importanza un tempo di questa borgata segnalata la prima volta nel 1023, e poi più volte testimoniata nelle visite pastorali a partire da quella del vescovo Gian Matteo Giberti in tre occasioni (1525, 1532 e 1541). Interessante l’annotazione del 1525 in cui si legge: Visitavit ecclesia Sancti Petri de Campo, sine cura et nullius valoris, sub custodia hominum dicti loci, quorum expensis reparatum est tectum cun assi bus et dealbata ecclesia, quae tamen adhuc clausa non tenetur.
Quasi due secoli dopo, il 28 settembre 1713, visita la chiesetta anche il vescovo Giovanni Francesco Barbarigo, che fa annotare come l’edificio sia alquanto abbandonato e vi si celebrino solo quattro messe l’anno (ex antiquissimis legatis) e quella per la festa del santo patrono. Quindi più che una chiesa, un oratorio.
L’edificio, la cui costruzione dovrebbe risalire alla metà del XIV secolo (la facciata è stata interamente ristrutturata nel XVIII secolo) presenta al suo interno un vero e proprio ciclo frescale, opera del maestro Giorgio figlio di Federico da Riva, come attesta l’iscrizione absidale con la data del 1358.
Poiché era consuetudine che gli affreschi venissero eseguiti a compimento dei lavori architettonici, si può pensare che quella data, 1358, sia anche la data conclusiva dell’edificazione dell’edificio, sulla cui titolazione la documentazione porta due declinazioni: San Pietro di Campo e San Pietro in Vincoli. Almeno per ora, non ci è dato sapere quando si sia passati da San Pietro di Campo (attesto fino alla visita pastorale del vescovo Barbarigo nel 1713) e quella di San Pietro in Vincoli.
Gli affreschi, in ottimo stato, si possono leggere, partendo da settentrione, sulla sinistra per chi entra, con un Cristo in croce, ai lati Maria Vergine, San Bartolomeo, San Giovanni Evangelista e un santo vescovo, Nel riquadro seguente (i riquadri sono segnati da una banda rossa) la Vergine che allatta tra i santi Giovanni Battista, Lucia, Bartolomeo e Caterina d’Alessandria.
Nei semipennacchi dell’archivolto, a sinistra San Giacomo Maggiore e a destra Sant’Antonio Abate. Sulle estremità dell’archivolto l’Annunciazione: l’Arcangelo Gabriele a sinistra, laVergine a destra.
L’iscrizione è singolare perché, probabilmente, il frescante (non proprio un letterato, anche se numerose sono le scritte), la dipinse con il cartone traforato rovesciato: Ecce A (ncilla) tua Domini fiat michi secundum Verbum tuum.
L’uso dei cartoni traforati, inoltre, è testimoniato dalle decorazioni delle vesti di tutti i personaggi, visibilmente realizzate come se si fosse usato un rullo riproduttore, dipingendo un tipo di abbigliamento che, oggi, potremmo definire di moda, la moda curtense di allora.
Al vertice dell’archivolto la Pietà con un Cristo senza testa, per la caduta dell’affresco. Nel catino dell’abside il Cristo Pantocrator racchiuso in un’ampia mandorla dipinta con i colori dell’iride. Ai lati i simboli apocalittici dei quattro evangelisti. Sulla sinistra del Leone di San Marcola Vergine che intercede per l’umanità intera. Sulla destra, poco, visibile, forse un altroSan Giovanni Battista.
Nella cornice inferiore dell’abside, il restauro di Erminio Signorini ha riportato alla luce le seguenti iscrizioni: Hoc opus pinxit Çorcius filius magistri Federici e sulla parete di destra, vicino alla finestra …ann(o) D(omi)ni M(…)LVIII in(dicione X)I. Documentazione fondamentale per conoscere la data di fabbricazione dell’edificio e l’autore degli affreschi: Giorgio, figlio di Federico da Riva, anche altrove testimoniato e facente parte di una bottega di pittori trentini operanti in più luoghi sul lago: in San Nicolò di Lazise, San Gregorio a Pai ed altri.
Sulla parete meridionale, a destra per chi entra, tre riquadri, di cui il primo è scomparso per l’apertura di una finestra (così potrebbero essere scomparsi gli affreschi della controfacciata con il rifacimento settecentesco della facciata). Qualcosa rimane: la figura di un vescovo e quella della Vergine in trono. Segue San Pietro in trono con le due grandi chiavi, ai lati un santo vescovo, santa Dorotea e Santa Caterina d’Alessandria. In ginocchio davanti a San Pietro, due devoti (uno dei quali dovrebbe essere quel Pietro) come dice la scritta sottostante, che commissionò l’opera. Quindi la Madonna della Misericordia e i santi Antonio Abate,Caterina d’Alessandria e Santa Maria Maddalena; infine un’altra figura di Sant’Antonio Abate.
Come si vede dalle ripetizioni iconografiche l’opera dovrebbe essere stata il frutto di più commissioni devozionali, come recitano le iscrizioni sulla parete sinistra: Viviano, Bartolomeo e Ingelterio. E altri, si crede, che chiesero la ripetizione per loro delle raffigurazione dei santi di cui erano devoti.