«Ero cieco. Cieco per una malattia. La passione della pittura mi rodeva più della cecità. Così ho preso il pennello ed ho incominciato a tracciare linee, provare tondi. Poi è ritornata la luce. L’operazione ha risolto la cecità. Questo il risultato». Adolfo Penocchio, ghedese come Arturo Marpicati, di una Ghedi ormai lontana, vista dalla sua villa di Polpenazze, mostra i disegni della cecità, cartelle misteriose, figure ritte, precise, deambulanti. Soltanto il volto è precluso e pare il vuoto che sarà riempito dal macchiaiolo, allorchè avrà posto la macchia. La notizia su Adolfo Penocchio, dunque, è il suo risanarsi, sono i quarant’anni di pittura, compiuti in questi giorni e rallegrati da un impegno unico. Penocchio apre la sua casa-museo all’amico e al passante, dalle 15 alle 18 di ogni giorno. Sul cancello, artigianalmente, sta scritto: «Arte 2000, Permanente di Adolfo Penocchio». Bel coraggio e medicina imbattibile quella dell’incontro, per il plauso che sarà sicuro da parte dei tanti che conoscono l’opera del maestro e dei pochi che la vedranno, la prima volta. Un’altra sorpresa sono i centocinquanta acquerelli che rappresentano la Divina Commedia, un’opera dell’artista bresciano dedicata a Fellini, ricca di attualità, dove la politica politicante è cotta all’inferno e sciabolate rosa e celesti appartengono al cielo del Paradiso. Lavoro tribolato, in attesa di un’attenzione critica in grado di presentare l’opera a tutta la cultura bresciana. I dipinti di Penocchio stanno nella casa di Penocchio come l’aria che l’artista respira, accompagnando le stagioni della sua esistenza, nei colpi del realismo ottocentesco agli inizi, nell’incontro con la socialità e la metafisica, con il simbolo e il surreale secondo un’interpretazione di tipo spiritualistico. L’ispirazione del pittore della pianura, in ritiro nell’uliveto benacense, si fonda sulla fede dichiarata. La metafisica, la linea formale e simbolica dell’artista si fonda su una prevalente illuminazione fideistica. Ci sono visioni nei gialli arancioni dell’ambiente penocchiano e direzioni celestiali nello scacchiere delle sue piazze postdechirichiane. La rilettura di Giotto e Chagall è nel chiarore di una severità biblica. Severo Penocchio, prima con se stesso. «L’energia – dice – l’energia pittorica e umana è nostra, secondo la legge del libero arbitrio. Noi scegliamo e la mano cammina secondo una scelta. Ma la scelta ha già il proprio fine. Dipingo e dirigo il mio rispetto al creato e al suo Creatore».
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Ero cieco. Cieco per una malattia. La passione della pittura mi rodeva più della cecità. Così ho preso il pennello ed ho incominciato a tracciare linee….
Compie quarant’anni d’arte e apre alla «casa-museo»
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