Solo mercoledì 11 luglio 1945, dopo tre mesi di limbo fatto di incertezza e di nervosismo, essendo stato liberato il loro Lager il 9 maggio, Francesco Zeni e i suoi compagni iniziano il viaggio di ritorno verso l’Italia.
Da Türden, il paese sul Weser dove erano rimasti per quasi tutti i tre mesi, vanno ad Halmen, la città principale del territorio. Lì si trovano ancora 1000 italiani pronti a partire, benché nei giorni precedenti altri gruppi prigionieri italiani nella zona fossero stati rimpatriati. Viene a tutti fatto fare il bagno e la disinfestazione, poi è distribuita a ciascuno una birra. Due giorni dopo in 600 sono spostati a Braunschweig, passando per Hannover. Ovunque si vedono rovine e distruzione. Da Braunschweig sono condotti di nuovo sul Weser, ripercorrendo i luoghi della prigionia e del primo esodo. Arrivano a Oldendorf, passano per Dortmund “e in una piccola stazione una polacca fa un aborto”.
La domenica sono a Kassel, come le altre città devastata dai bombardamenti. I piccoli centri non mostrano tanta rovina. Il lunedì transitano per Mimberg, quindi per Hanau e il loro treno punta verso Norimberga. Durante questa tratta ferroviaria incrociano treni merci, con vagoni carichi anche di carbone, su cui viaggiano tedeschi in abiti civili e qualcuno con la divisa militare aggrappati come possono. Francesco e i compagni si devono fermare a Fürth, dove c’è già un convoglio di italiani. Qui restano una notte e un giorno. Solo il giovedì mattina, dopo una settimana dall’inizio del loro viaggio di ritorno, arrivano a Norimberga. Cambia la locomotiva, ma si procede sempre lentamente, perché altri treni sono in transito; li raggiunge il convoglio partito dopo di loro. Dopo km 20 dalla città, il treno di Francesco viene fatto fermare e una squadra di americani passa in rassegna tutti gli scompartimenti, perché si dice che sia stato rubato un bambino. Il venerdì Francesco e i suoi compagni si svegliano ad Augusta, tutti i ponti sul fiume sono impraticabili. Ripartono dopo un’ora con un treno elettrico che va veloce, arrivano a Monaco e ora puntano a Innsbruck. Il treno si ferma a Mittenvald, un paese di montagna.
Altri italiani salgono sul vagone di Francesco; formano così un gruppo di 35 italiani diretti al centro di smistamento di Verona. Il sabato non viaggiano e si arrovellano su quale sarà il loro destino. Solo la domenica mattina, dopo il bagno e la disinfestazione, sono caricati su camion che li conducono alla stazione. Percorrono una strada piena di precipizi e alle 14 raggiungono Innsbruck, città austriaca circondata da alte montagne.
Alle 17,30 sono al Brennero, qui devono di nuovo restare fermi per 5 ore. Il 23 luglio 1945, lunedì, in una giornata di sole, ci si mette in movimento e Francesco annota sull’ultimo dei foglietti su cui ha scritto gli appunti della lontananza da casa: “Come prima roba una brutta [notizia], manca [è interrotta] tutta la linea dal Brennero a Verona, tutta bombardata; si prosegue. Verso le 3, 50 si raggiunge Bolzano [vedi foto]. Ci fermiamo un’ora. Ci danno da mangiare. Si riparte pian piano e si raggiunge Pescantina verso le 1. Lì tanti partono subito, perché hanno le macchine pronte. Noi si deve aspettare sino le 8 di sera, poi una colonna di macchine tedesche ci portano alle nostre case. Arrivo a Desenzano verso le 10 assieme a tre amici, Bravo e Benedetti. Si parte per casa e trovo a La Vicina [zona compresa tra la stazione ferroviaria e la casa di S’Angela Merici-Le Grezze a Desenzano] mio padre che parlava con altre persone. Ci salutiamo e si arriva a casa, dove mia madre e sposa con figlio mi corrono incontro e, piangendo di gioia, ci salutiamo. Mangio qualche cosa, faccio un bagno e vado a dormire. Così, ringraziando Dio, sono tornato e ho trovato tutti i miei cari sani. Così è finita la mia prigionia».
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