Il miglior olio del Veneto? È sul Garda, a Torri. Ma mica in un oleificio: è in un albergo. Parola di Slow Food. Il numero estivo di Slow , la rivista del movimento internazionale che ha per simbolo la chiocciola, dedica un ampio servizio all’uscita dell’edizione 2003 della Guida agli extravergini . A Diego Soracco, curatore del volume, è stato affidato il compito di scegliere un’azienda per regione, in modo da realizzare una sorta di «percorso nel mondo italiano dell’extravergine», ma anche di «stuzzicare il desiderio di ricerca e confronto». Per il Veneto la scelta è caduta sull’extravergine di Roberto Consolini, albergatore di Torri del Benaco. «Non è che starete esagerando?», chiede lui, sorpreso, a chi lo elogia. «È un riconoscimento importante per lui ma anche per tutto il nostro territorio», commenta invece soddisfatto il sindaco Alberto Vedovelli. Consolini, 45 anni, fa l’olivicoltore per passione. Il mestiere ufficiale è quello di gestore di una piccola locanda, la Speranza. È qui, e solo qui, che si può acquistare il suo olio, cui ha dato il nome di «Crér», la località da dove proviene la famiglia. «Lo vendo ai miei clienti», racconta Consolini, «e se ne avanzo, lo uso per cucinare in albergo»: fortunati turisti. Le prime bottiglie di extravergine Roberto Consolini le ha proposte nell’autunno del 2001. Pochissime, ma eccellenti, tanto da entrare immediatamente nella guida di Slow Food. Un ingresso quasi fortuito: Diego Soracco era a Torri per la festa dell’olio di fine gennaio e lui, l’albergatore-olivicoltore, ha portato un paio di campioni in degustazione, così, giusto per avere un’idea di come potessero essere valutati. Con la raccolta 2002 Consolini si è superato, tanto da meritare le «due olive», un traguardo altissimo se si pensa che il massimo punteggio, quello delle «tre olive», è stato attribuito soltanto a 16 oli in tutt’Italia su un totale di 473 prodotti presenti in guida. Gli olivi sono nella contrada di Crér, fra Torri e Pai. I Consolini vengono da lì. Il borgo ha senz’altra tradizione olearia antica: in mezzo alle case c’è un antichissimo frantoio semisepolto. C’è chi spera che presto quella «màchina da l’òio» possa diventare una specie di sezione staccata del museo del castello scaligero torresano. Al progetto in Comune ci stanno lavorando da tempo. Intanto, Roberto Consolini rinnova la tradizione. Il vantaggio di fare l’albergatore è che in tardo autunno e d’inverno ha tempo per curare l’oliveto. «Per me è un hobby», ripete lui, ma poi si corregge: «Forse non riuscirei a rinunciare a coltivarli, quegli olivi». Ha 270 piante, non moltissime, ma neppure poche. La maggior parte sono di casalìva, la cultivar più diffusa sul Garda: la chiamano anche drisàr. «La cosa strana», racconta ancora Consolini, «è che l’hanno innestata alta su ceppi di ràsa, forse perché era questa la tipologia più resistente». Poi, nell’oliveto dietro la chiesetta di San Siro (tra l’altro, la fece costruire proprio un Consolini, quasi 300 anni fa), ci sono anche varietà ormai quasi estinte: il fòrt e la trépa. Una vero campo della memoria.
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Le due olive di Slow all’olio di Consolini