Nella seconda lesena dell’abside della Pieve di San Zeno è inciso il “braccio” lonatese che misura 48 cm, diviso in 12 pollici da 4 cm.
Quando le prime società civili sentirono la necessità di valutare, anche se in maniera non rigorosamente esatta, le grandezze, le misure furono ricavate da dimensioni di parti del corpo umano. Queste furono le prime a essere impiegate: il piede, il braccio, il pollice, ecc.
Successivamente, quando la comunità sociale, intervenne per disciplinare le norme già stabilite dall’uso non poté che servirsi delle stesse misure già in atto, rendendole ufficiali con la loro identificazione visibile, disciplinandole e mettendole a disposizione di tutti.
Presso tutte le civiltà del mondo antico le piccole misure di lunghezza presero il nome, pertanto, dalle stesse parti del corpo umano in uso da tempo immemorabile. Il piede (pes, pesus), come unità di misura, rappresenta la lunghezza dell’impronta lasciata dal piede di un uomo di media statura che si suppone calzato da sandali. Il pollice (pollex) è dato dalla lunghezza della falange anteriore del dito pollice.
Il braccio o cubito (cubitus) rappresenta la lunghezza dell’avambraccio, misurata dal gomito all’estremità del dito medio. La spanna (spithama), considerata uguale a mezzo braccio o cubito, era la distanza massima fra le estremità del pollice e del mignolo, divaricati.
L’abside della Pieve di San Zeno, secondo gli studiosi, è la parte della chiesa risalente al XI – XII secolo, giunta quasi intatta fino ai giorni nostri.
Il braccio lonatese si presenta come un elemento più antico, forse risalente al IV – V secolo, un prezioso gioiello incastonato in una ricostruzione posteriore di qualche secolo.
Il fatto che Lonato sia sempre appartenuto alla diocesi di Verona fa intuire che l’inizio della opera di evangelizzazione, dopo la liberalizzazione concessa da Costantino, sia partita proprio da Verona correndo lungo la strada romana (la via Gallica), costruita già nel I secolo a. C., trovando nella mansio “Ad Flexum”, che era ad una giornata di marcia, un luogo già popolato (ricordiamo ad esempio che le fornaci romane dei Gorghi abbisognavano di molta mano d’opera), per la sua diffusione. È stato osservato, infatti, che le prime circoscrizioni ecclesiastiche furono modellate preferibilmente su distretti di natura amministrativa preesistente, gli antichi pagi e vicus.
Le nostre zone di Brescia e Bergamo appartenevano alla X regio Venetia et Histria e le nostre Pievi di Nuvolento, Pontenove, San Zeno (ad Flexum?) e Sirmio sono tutte sul binario stradale romano che congiungeva Verona ai confini della Regio cui appartenevano. All’XI regio traspadana invece appartenevano il milanese ed il comasco.
Quando fu realizzato l’Itinerarium Burdigalese o Hierosolitanum che, partendo da Burdigalia, l’attuale Bordeaux, congiungeva l’occidente all’oriente dell’Impero romano (e che attraversava tutto il territorio lonatese) includendo la preesistente via Gallica, questa conservò sempre l’originale numerazione dei cippi miliari partendo da Verona. [Una esposizione completa del problema è stata pubblicata in un volumetto”, Maguzzano, complementi storici” pubblicato nel 2008].
Le Pievi, anche dopo lo sfacelo dell’impero romano e della sua rete stradale, non persero mai la loro importanza, anzi furono proprio esse l’unica sede di riferimento per la popolazione. Esse costituirono non solo il centro dell’unità religiosa, ma anche di quella sociale. Lo stesso edificio religioso e adiacenze viene usato per assemblee e raduni di carattere civile.
Il territorio della antica pieve si identifica, col tempo, con la Vicinia. Pensare diversamente sarebbe antistorico.
La Vicinia, formata da tutti i capi famiglia della Comunità locale ha, pertanto, origine antichissima, preposta alla cura di interessi comuni sia privati che pubblici, dotata di propria elementare organizzazione ed è considerata la precorritrice del Comune, in particolare di quello rurale.
Ad essa appartengono tutti i membri del territorio pievano e perciò anche quelli, per esempio di Sedena, Malocco, San Cipriano, Brodena, ma in particolare quelli di Lonato, che gravitano attorno alla Cittadella, dove recentemente sono stati messi in luce, in vicolo Peli, i conci di un antichissimo portale, uno dei quali porta incisa la scritta “INRI”, il cartello del Golgota, alle origini della diffusione del cristianesimo.
La presenza del braccio inciso nella antica pietra dell’abside della Pieve di San Zeno fa intuire che nel sito doveva esserci il mercato, perché alla pubblica e nota sua dimensione potevano sempre rivolgersi i mercanti nel caso di contestazioni.
Non dobbiamo scordare che la Pieve non era solo il luogo deputato alle funzioni religiose e prima di tutte il battesimo, ma era l’unico spazio dove la popolazione poteva esercitare tutte le attività della vita di comunità e in primo luogo le riunioni della Vicinia per la votazione e elezione dei pubblici rappresentanti, che per secoli avevano quale unico sostegno il parroco da presbuteros (da presbus = vecchio saggio).
L’antica strada romana che attraversava tutto il territorio lonatese dalla Bettola a Brodena e proseguiva poi al confine con Rivoltella, come abbiamo precedentemente accennato, è ancora oggi identificabile in territorio lonatese mediante la presenza di alcuni toponimi quali: Bettola (Bibetula), Corlo (Curulus), Corrobiolo (Corulus bis), Clio (Clivus).
Gli abbondanti resti di una residenza romana in località Colombare delle Pozze, dove ancora oggi si possono ammirare i resti dell’acquedotto romano che portava l’acqua delle Bagnole, sono una ulteriore prova dell’importanza di questo sito che gli studiosi identificano con la “mansio ad Flexum”.
La grandiosa strada romana, nei secoli successivi scomparve, ma lungo il suo tracciato rimasero strade di interesse locale. I Capitolari carolingi, che si rivolgevano alla comunità locale, ma coinvolgevano anche il clero, esprimono l’obbligo di manutenzione di strade e di ponti, come “da antica consuetudine”.
Mons. Antonio Fappani, nella sua Enciclopedia Bresciana (vol. VII, pag. 259, alla voce “Lonato”) purtroppo senza l’indicazione della fonte, informa che “di un ospizio o xenodochio per pellegrini si parla già nel secolo XI”. Si tratta di una notizia legata all’antica chiesa della Madonna del Corlo, anticamente sede di una casa con ospizio dei “Crociferi”.
Il discorso, a questo punto, ci porterebbe lontano da quello iniziale sul braccio.
Ci piace fermarci qui, invitando i lonatesi ad una passeggiata fino all’abside di San Zeno, per meditare sulle loro origini testimoniate dal “braccio” inciso sulla seconda lesena.
Lino Lucchini
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