Polpenazze si è specializzata nel Rosso superiore (con la Fiera di maggio) e Moniga nel Chiaretto (luglio), mentre Puegnago ha puntato decisamente sul Groppello, ottenuto dall’uva omonima, considerata una rarità enologica in quanto coltivata solo in Valtenesi. Se ne riconoscono tre biotipi di pregio: Gentile, Mocasina e Santo Stefano. Le citazioni originarie risalgono addirittura al 1550, da parte di Agostino Gallo e di Andrea Bacci, medico di papa Sisto V. È il vino più tipico della zona, un rosso delicato e di pronta beva, speziato con note fruttate, vellutato e piacevole, che si accompagna a primi saporiti, a piatti di carne di tutti i tipi e a formaggi di media stagionatura. Scegliendo i vigneti migliori, e talvolta a seguito di attenta cernita delle uve, dopo un invecchiamento di almeno due anni si ottiene il “Riserva”, prodotto più ricco, intensamente speziato, corposo, di ottimo spessore gustativo, sempre molto avvolgente ma dalla tannicità morbida, adatto al medio invecchiamento, da abbinare a piatti saporiti di carni rosse, al tipico spiedo bresciano, a molti secondi della cucina regionale lombarda. Il 2002 è stato un anno difficile, penalizzato dalle grandinate estive, che hanno ridotto il raccolto. Molte aziende hanno dovuto ridimensionare drasticamente la produzione. L’andamento di questa estate e l’eccellente grado zuccherino delle uve inducono comunque a guardare con ottimismo al futuro. «Le caratteristiche del Groppello – spiega Angelo Peretti, il giornalista veronese che con le sue numerose iniziative contribuisce a valorizzare le specialità più genuine – stanno nella salinità e nel gusto di fragola, talvolta unito al sapore amarognolo della ciliegia. Poi c’è una nota di vegetalità (di erba e arbusti) e una selvaticità derivante dagli antichi vitigni. Con lo spiedo, forma un sodalizio che è culturale prima ancora che gastronomico. Perchè l’uno e l’altro, il vino e il cibo, hanno in sè un’impronta di rusticità inusuale». Ricorda come la Valtenesi sia formata da cerchi concentrici, che hanno il loro fulcro nella rocca di Manerba. Le varie fasce assorbono la luce e il calore del lago. Ne esce un prodotto tipico, con rese superiori ai 200 quintali per ettaro (ma è necessario ridurle, in modo da esaltare la qualità). «Da qualche anno – aggiunge Peretti – c’è la moda dei rossi morbidi e concentrati, quasi dolci. Il Groppello, invece, mantiene una caratteristica vincente: la selvaticità. Non perde mai la sua vena di vegetalità, quasi di pampino spezzato, e di mineralità, che è data dai terreni, depositati e poi rimestati dai ghiacciai, o dai depositi alluvionali lasciati dai torrenti. Il variare dei suoli e dell’altimetria, quindi del microclima, inducono diversità, quasi impercettibili al profano, eppure tipicizzanti. Infine, ci sono sempre due prerogative: un’acidità nervosa e il finale amarognolo, che induce a versare un altro bicchiere». Pier Luigi Villa, direttore del Consorzio e del Centro vitivinicolo bresciano, assicura che il Groppello (fine, delicato) è antico, citato in alcune pergamene dell’anno Mille. Da accurate indagini, si è appurato che il biotipo “Mocasina” e il “Santo Stefano” sono identici, caratterizzati dal fatto di avere una peluria farinosa all’apice del germoglio, quindi conosciuti come il “Maol del muliner”. Poi c’è il “Gentile”, con un grappolo più piccolo rispetto al “Groppellone”, che invece si fa apprezzare dal punto di vista della vinificazione.
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Molte aziende hanno ridimensionato la produzione ma la qualità rimane okay
Non perde quota anche se il 2002 è stato negativo
Il Groppello gioca in casa
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