La Valtènesi ha nel Chiaretto un suo grande punto di forza con ancora molte frontiere tutte da esplorare sia sul fronte produttivo che su quello commerciale. Questo il messaggio emerso dal convegno “Pensa in Rosa”, che domenica 5 giugno ha coronato con un importante momento di approfondimento la quarta edizione di “Italia in Rosa”, la vetrina dei chiaretti e dei rosè italiani che ha tenuto banco con grande successo a Moniga del Garda il 4 e 5 giugno. “Il Chiaretto è simbolo dell’intreccio profondo tra la cultura e i prodotti tipici della nostra terra”, – ha spiegato Tullio Ferro, giornalista e storico gardesano, che ha introdotto il dibattito ripercorrendo sul filo della memoria storie ed aneddoti legati alla Valtènesi e al suo prodotto simbolo. Un excursus partito dalla vicenda di Pompeo Molmenti, senatore veneziano che per primo codificò, grazie a numerosi viaggi in Francia, la metodologia produttiva del Chiaretto ed allargatosi poi ad epoche successive. “Il Chiaretto ha sempre viaggiato nella valigia diplomatica gardesana – ha ricordato Ferro -. Ho annonato numerosi appuntamenti all’estero per convegni e conferenze stampa in cui si brindò con Chiaretto. Ed è impossibile non ricordare come a Moniga, nella trattoria da Giovanni del Porto, negli anni ’70, si formò un cenacolo spontaneo calamitato dal giornalista Nantas Salvalaggio, cui approdarono scrittori, critici, pittori uniti dall’amore del Chiaretto. Ricordo come Mario Rigoni Stern mi donasse il formaggio di Asiago ed io rispondessi con Chiaretto e olio d’oliva. Tanti personaggi sono passati in quel cenacolo. Ma anche in epoche precedenti il Chiaretto ha saputo ammaliare poeti, pittori, artisti. E tante sono le testimonianze che lo ricordano, a dimostrazione di quanto questo prodotto sia stato ambasciatore della Valtènesi e di come abbia tutte le carte in regola per continuare ad esserlo”. CHIARETTO E ROSATI Di particolare rilevanza la relazione tecnica e scientifica del professor Rocco Di Stefano, enologo siciliano di fama nazionale, che ha ricordato le differenze tecniche che contraddistinguono la produzione dei rosati. “Le notizie sui rosati sono piuttosto scarse nella letteratura enologica – ha spiegato Di Stefano-. Ma una cosa certa è che le differenze tra i vari rosati sono davvero notevoli: una tecnica univoca non esiste, ne esistono molte che dipendono dal territorio, dalla varietà delle uve e dall’azienda che produce questi vini. Tutte possono essere ricondotte ad un fattore centrale come la separazione rapida delle bucce dal mosto dopo la pigiatura: la pressatura anche debole porta alla cessione di sostanze coloranti, o antociani. In Valtènesi invece si predilige un’altra tecnica, con l’uva pigiata che viene lasciata a fermentare lentamente fino a quando le bucce vengono a galla e poi vengono separate dal mosto. Le cose in questo caso cambiano notevolmente e danno al prodotto finale una connotazione completamente diversa. Ma oltre ad una connotazione territoriale si può parlare di una connotazione varietale? In realtà difficilmente riusciamo a identificarla, in quanto in questi vini più che un aroma varietale abbiamo un aroma di fermentazione. Molto in questo dipende dalla qualità iniziale dell’uva: se si ha un certo livello di maturità avvengono dei fenomeni di diradazione della struttura cellulare da cui in fase di spremitura si traggono sostanze che hanno non solo un effetto stabilizzante ma danno anche un importante arricchimento a livello sensoriale e quindi prodotti finali molto diversi. Se l’uva non è perfettamente matura non possiamo ottenere connotazioni varietali che invece sono tipiche di uve che hanno raggiunto un certo livello di maturità. Altro aspetto è quello del legame varietale: le nostre uve autoctone a dispetto di quanto si credeva fino a qualche anno fa hanno un loro profilo aromatico ma questo soprattutto qui in Italia è un campo ancora tutto da esplorare”. Altro problema importante trattato dal professor Di Stefano quello della longevità. “Se l’uva ha raggiunto un adeguato livello di maturità allora avremo anche vini più resistenti al tempo. Ma è importante anche la tecnica, che deve prevedere un contatto del mosto con le bucce molto più importante di quello che si fa attualmente. E per bloccare tutte le reazioni di ossidazione sarebbe necessario rivedere l’abitudine secondo la quale, finita la fermentazione, il vino viene separato dal lievito. Invece per salvaguardare le sostanze coloranti è importantissimo prolungare il contatto con i lieviti anche oltre l’anno, ed anche i vini Chiaretti se ne potrebbero avvantaggiare. Finchè un vino sta a contatto con i lieviti le reazioni di degradazione ossidativa vengono totalmente bloccate. Ed è probabile che così il Chiaretto possa migliorare il suo profilo e il suo legame con il territorio”. D’accordo con il professor Di Stefano anche Daniele Cernilli, un veterano del giornalismo enoico italiano con 25 anni di degustazioni sulle spalle. “Il rapporto tra lieviti e vino è in effetti fondamentale: i lieviti sono un po’ il cordone ombelicale del vino, quando si taglia questo legame vini cominciano ad invecchiare. A Moniga comunque ho avuto occasione di degustare un Chiaretto del 2007, che ho trovato di straordinaria complessità e che per quanto ho potuto sentire potrebbe tranquillamente invecchiare ancora dieci anni. Purtroppo però è ancora radicata una mentalità secondo la quale Chiaretti e rosati sono considerati alla stregua di una bevanda e quindi non adatti ad un affinamento che invece è senz’altro un’opportunità possibile e da esplorare”. Nel suo intervento Cernilli non ha mancato di inquadrare storia e mercato dei vini rosa. “Il più importante e prestigioso rosato mondo? Sicuramente lo Champagne: bisogna ricordare che prima del perfezionamento delle tecniche di pressatura, gli champagne erano considerati vini “grigi”, o meglio rosati. Ed ancora oggi gli Champagne rosati sono i vini più prestigiosi e pregiati di tutto il comparto Champagne, come dimostrano anche i prezzi sensibilmente superiori a quelli degli spumanti non rosè. Quindi il vino rosato in champagne è vino di riferimento fondamentale anche a livello qualitativo. In Francia vi sono inoltre denominazioni basate soltanto su vini rosati, come Bandol o Tavel. E questo andrebbe sempre ricordato. Invece da noi il rosato è sempre stato visto in modo un po’ altalenante, utilizzato spesso con la strumentale funzione di nobilitare il vino rosso, anche se non mancano le capitali del rosato come il Salento, l’Abruzzo, l’Alto Adige e naturalmente il Garda. E proprio in situazioni come quella del Garda –Valtènesi – ha detto Cernilli -, perché non sottolineare la specifica vocazionalità al Chiaretto con una DOCG Moniga?”. Un suggerimento-provocazione ripreso nel dibattito che ha seguito, dove si è evidenziato come, ora che il Valtènesi esiste, si potrà parlare di Chiaretti del Garda, ben distinguendo tra le due sponde caratterizzate da vitigni completamente diversi: il Groppello per la Valtènesi e la Corvina per il Bardolino. ROSE’ E MERCATO Ma quale il futuro del mercato dei rosati? “Negli ultimi dieci anni i rosè hanno quadruplicato il mercato passando da una percentuale dell’1% ad una quota globale del 4% – ha spiegato Cernilli -. Il Paese di riferimento è soprattutto l’Inghilterra, dove i rosati stanno al 7% del totale mercato e quindi c’è grande tradizione e grande apprezzamento. Ma quel che serve per il futuro è una più netta distinzione tra le tipologie: un vino rosato non è molto significativo se non ha caratteristiche precise sia di carattere tecnico che di tradizione. Dobbiamo pensare a vini rosa diversi, modificando l’utilizzo dei lieviti, prevedendo un contatto più lungo con le bucce che dia luogo alla formazione di una varietalità davvero caratteristica. Se vogliamo valorizzare il concetto di rosè dobbiamo puntare a vini di carattere, non soltanto ad un mosto colorato: sotto questo punto di vista è fondamentale l’utilizzo delle uve autoctone, che tradizionalmente sono selezionate per maturare naturalmente ed in condizioni ideali nel proprio territorio e quindi, raggiungendo come detto dal professor Di Stefano un certo livello di maturità, possono dare al vino quel carattere capace di diventare un tratto di distinzione e di far crescere interesse e passione intorno ad un prodotto. Diversamente avremo solo dei vini “apolidi”, che possono essere fatti in qualunque posto al mondo: bevande, non vino. In ultima analisi, cultura e tradizione di un territorio sono fattori fondamentali perché un vino diventi realmente rappresentativo e significativo. La Valtènesi? E’ senza dubbio una z/Users/Mini/Downloads/CONDIZIONI DI FORNITURA GARDA UNO.pdfona poco conosciuta al di fuori dal circuito locale: 800 ettari e 150 proprietari sono del resto indice di un grande frazionamento che può essere un bene sul fronte della preservazione dell’artigianalità e della cura in tanti passaggi produttivi, ma pone qualche piccolo problema in termini di marketing, perché non c’è la massa critica sufficiente per acquisire visibilità sui mercati. Per questa zona quindi è fondamentale il gioco di squadra per fare diventare brand una denominazione d’origine: tutti i produttori devono concorrere a creare il brand, un po’ come successo a Brunello di Montalcino dove c’è un po’ la medesima struttura di piccoli produttori della Valtènesi. Insomma, il nome del territorio deve diventare più importante di quello della singola azienda”. ITALIA IN ROSA E LA NUOVA DOC VALTÈNESI A conclusione del convegno, le considerazioni dei vertici del Garda Classico e di Italia in Rosa, uniti in un cammino comune di valorizzazione e rilancio del territorio della Valtènesi. “La nostra attività è proiettata sul lungo periodo – ha detto il presidente del Garda Classico Sante Bonomo -. E’ un lavoro che nasce dal passato, da una storia che andiamo a riscoprire per delineare il nostro futuro. Un lavoro difficile, molto serio, che troverà dal prossimo anno concretezza in una denominazione, Valtènesi, che diventerà anche simbolo di un’area enologica: ripartiamo dai nostri 500 ettari di Groppello, i soli ormai rimasti al mondo, per raccontare unicità e singolarità di un territorio e del suo vino” “Italia in Rosa è una rassegna nella quale crede tutto il paese di Moniga – ha detto Luigi Alberti, presidente della manifestazione – sottolineando il salto di qualità della manifestazione. Credo si debba continuare con tenacia, migliorando l’evento e la qualità dei vini che partecipano. Questa selezione fa in modo che ognuno di noi esca dai nostri confini senza dimenticare che poi dobbiamo lavorare per valorizzare un grande prodotto che sia simbolo del territorio come il nostro Chiaretto. Senza mai dimenticare che l’enogastronomia è oggi un fattore importante per il rilancio dell’economia del nostro Paese, e che per sfruttarne appieno le potenzialità servono leggi ed interventi immediati sulla salvaguardia dei terreni agricoli o vocati alla viticoltura”. Soddisfatto infine il vicepresidente Garda Classico Mattia Vezzola. “Fa parte del nostro stile quello di aver organizzato un convegno con l’intento non solo di promuovere ma anche e soprattutto di confrontarci, di ascoltare e di far tesoro di suggerimenti ed indicazioni. Siamo in un importante momento di passaggio ed è importante l’aiuto che può arrivare da chi guarda da fuori per capire se ci stiamo muovendo nella giusta direzione. L’importante è ritrovare lo spirito delle nostre radici, ponendoci a mezza strada fra le tradizioni del territorio e la tecnologia per raccontare al mondo come il Chiaretto sia senza dubbio un vino diverso per cultura e storicità rispetto agli altri vini rosati”.
!
Chiaretto, Ambasciatore di Valtènesi con tante potenzialità ancora da esplorare