lunedì, Dicembre 23, 2024
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I sei distretti dove nasce il blasonato distillato

La magìa di Cognac: raffinato e prezioso

La Charente, il fiume definito da Francesco I, re di Francia, «il più bello del mio regno», attraversa placidamente la tranquilla cittadina di Cognac lambendo le case e le loro cantine, e accarezzando quasi con tenerezza un luogo dove, dicono i suoi abitanti, «i silenzi sono più profondi e i segreti sono custoditi meglio» che in qualsiasi altro. Questo sarebbe poco più di un villaggio come tanti altri, se non fosse per il fatto che qui nasce il più blasonato liquore del mondo. Secondo una rigida legge, può essere prodotto esclusivamente in una zona geografica ben delimitata, che si stende tra i dipartimenti della Charente e della Charente Marittima, nella Francia sud-occidentale. Il territorio, tappezzato di vigneti, è diviso in sei distretti vinicoli: Grande champagne e Petite champagne, Borderies (i cui distillati hanno un leggero aroma di violetta), Fins bois, Bon bois e Bois ordinaires. La cittadina è il cuore del cognac, perché vive di esso, tanto che persino il suo aspetto ne è influenzato. Girovagando per le sue strade, si nota come tra le case di pietra chiara ve ne siano alcune in parte o del tutto annerite: ebbene, la spiegazione di questo fatto è nel cognac. Le case scure sono quelle le cui cantine custodiscono le botti dove il liquore è messo a stagionare. Durante l’invecchiamento il legno delle botti lascia evaporare quella parte volatile del distillato (se ne vanno così ogni anno decine di milioni di litri di prezioso liquido) che è chiamata «porzione degli angeli». Queste sostanze provocano la crescita di un fungo nero, Torula coniacensis, che ricopre le case annerendole. Intorno a Cognac le uve – tutte bianche – danno un vino povero di alcool e con un’acidità fissa elevata, che però è un prodotto ideale per essere distillato. Una leggenda racconta che nel XVI secolo Jacques de la Croix-Maron, un cavaliere appassionato di viticoltura e alchimia, si intestardì nei tentativi, sempre poco fruttuosi, di ricavare da questo vino un’acquavite. Il cognac non sarebbe nato se al cavaliere non fosse apparso in sogno il diavolo in persona, che gli suggerì di distillarlo due volte. Fu un tale successo, che da allora quel liquore si fa così, usando ancora gli alambicchi di quei tempi e stagionandolo nelle stesse cantine che si usano da secoli. Il vino, una volta fermentato, subisce una doppia distillazione mediante un impianto identico a quelli usati nel Cinquecento: un alambicco charentais di rame battuto, che ha la funzione di far depositare gli acidi grassi del vino e i composti solforati, sostanze che pregiudicherebbero la qualità del liquore. Tutte le distillerie, grandi e piccole, della zona hanno almeno un camino di lucidi mattoni rossi quadrati e una caldaia di rame a forma di cipolla (l’alambicco), dalla quale si innalza un collo di cigno che termina in un condensatore a spirale in cui avviene il raffreddamento. Dalla prima distillazione si ottiene il brouillis, un liquido lattiginoso e leggermente alcolico. Dalla seconda, la più importante, appare invece la bonne chauffe, ad alta gradazione: i primi e gli ultimi vapori condensati che escono – la “testa” e la “coda” – saranno aggiunti al nuovo prodotto da distillare, mentre la parte centrale (il “cuore”) con un opportuno e sapiente invecchiamento diverrà cognac. La lenta maturazione del cognac avviene unicamente in botti di quercia provenienti dalle regioni del Limousin e del Tronçais. In esse, collocate nei bui scantinati di Cognac, il distillato si affina, perde gradi alcolici e acquista corpo, aroma e gusto. Il ventre delle botti gli cede infatti tannino, acido gallico, quercetina e quercitrina. Quando esce dalle botti, viene “tagliato” con acqua distillata fino alla gradazione alcolica del 40 per cento. Unica digressione consentita: un po’ di caramello naturale. Il cognac che verrà imbottigliato nasce però dal difficile mescolamento di decine di distillati, le cui percentuali sono decise dai maîtres de chai (mastri di cantina). Ottenere un cognac sempre uguale per qualità mettendo insieme distillati di diversa età e provenienza è un’impresa che richiede una notevole esperienza. Per creare i prodotti più pregiati occorre mischiare ben cento cognac diversi. Per questo, il mestiere di mastro di cantina e i suoi segreti vengono tramandati di padre in figlio: è considerato molto importante che il patrimonio di tradizione e cultura rimanga in famiglia. Tutti i cognac portano per legge sull’etichetta una sigla che ne indica età o provenienza geografica: Trois étoiles o VS (very superior) se ha da due anni e mezzo a quattro e mezzo; Reserve, Vo o Vsop (very superior old pale) se ha da quattro anni e mezzo a sei e mezzo; Napoléon, Xo (extra old), Extra, Hors d’age se ha più di sei anni e mezzo. A Cognac parecchie distillerie sono antichissime. Una delle più vecchie è la Maison Otard, che ha sede nel castello dove nel 1494 nacque Francesco I. Nel 1796 fu acquistato dal barone Jean-Baptiste Otard de Lagrange, che si era dedicato alla produzione di questo liquore. Il castello, con le sue mura spesse due metri, è il luogo ideale per l’invecchiamento. Le cantine più asciutte vanno bene per i cognac giovani, quelle umide lambite dalla Charente sono adatte a quelli vecchi. In una vecchia prigione si conservano cognac che hanno anche due secoli di vita. Sull’opposta riva del fiume si trova un’altra casa famosa, la Hennessy, fondata nel 1765 dal capitano Richard Hennessy, un irlandese che aveva combattuto per Luigi XV. Il mastro di cantina è Yann Filloux, la cui famiglia fa questo mestiere da otto generazioni. I suoi bassi magazzini sono sterminati e contengono botti e damigiane di tutte le età. Si legge addirittura la data del 1800, l’anno in cui Napoleone sconfisse gli austriaci a Marengo. Ma la più antica delle Maisons di Cognac è la Martell, che fu fondata nel 1715 da un inglese dell’isola di Jersey. Nelle cantine dove ogni giorno si rinnova il miracolo della nascita di questo liquore pregiato, come nelle case raffinate di tutta la Terra, assaporare un cognac d’annata dopo avere scaldato il bicchiere con la mano è un piacere insuperabile. Ma ricordiamo un consiglio dei mastri di cantina: va bevuto, a piccoli sorsi, in un bicchiere a tulipano. Mario Bussoni

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