Ha 18 anni, Rosella, nella foto in cui mostra una grossa tinca appena pescata. Il suo sguardo parla di forza e orgoglio ma anche di timidezza e dolcezza. È così, Rosella Orlandi, anche oggi che di anni ne ha 61. Continua a guardarla dritta negli occhi, la vita.
Pescatrice da sempre, conosce il suo pezzo di lago e sa dove dirigere la barca. Ha dovuto superare dolori e difficoltà, come un lago in tempesta. È stata la prima pescatrice, oggi è l’ultima a praticare questo mestiere e non vede eredi. «Quando ero ragazza ce n’erano delle altre», ricorda, «ma non penso che abbiano mai avuto passione per la pesca. Perché per me pescare è la vita. Forse per questo sono ancora qui che, ogni giorno, esco in barca per gettare le reti e tornare poi a riprenderle».
La pesca è entrata nella sua storia quando era ancora bambina. «Si pescava per lavoro, ma anche per mangiare. Io uscivo con mio papà, Gino. È stato lui a insegnarmi tutto: come fare le reti, i punti di riferimento sulla costa, il fondale del lago con i suoi pendii, gli argini o le zone più piatte, da conoscere come una campagna. Io andavo anche a scuola, ma pescare mi piaceva di più. Quando lui è rimasto senza il compagno di barca, mi sono proposta io. Pensavo fosse solo per un periodo; invece è diventata la mia grande passione».
La passione coinvolge ogni aspetto della pesca: il contatto con la natura, il rapporto con l’acqua e il vento. È un mestiere duro, difficile, non a caso quasi sempre maschile. Rosella dice che l’ha allenata ad affrontare le avversità, anche quelle della vita. E per Rosella queste iniziano presto: si sposa a 23 anni con Angelo Barusolo; 80 giorni dopo le nozze i giovani sposi restano coinvolti in un incidente stradale. Angelo perde la vita, Rosella finisce in coma per alcuni giorni. Al risveglio apprende di essere vedova e di essere incinta.
Nove mesi dopo nasce Angela, che resterà la sua unica figlia: Angela diventerà mamma per la prima volta tra poche settimane. Rosella dopo il matrimonio era andata a vivere a Forte Laghetto; vedova, ritorna nella casa dei genitori, a San Benedetto, la stessa dove abita tutt’ora. La sua famiglia si era trasferita lì dopo la piena del lago del 1960, che li aveva costretti ad abbandonare la casa in località Vecchio mulino, irreparabilmente danneggiata dal vento e dall’acqua. «Dopo la morte di mio marito mi hanno aiutata i miei familiari e il lago a superare quel brutto momento; ho ripreso a pescare insieme a mio padre Gino.
Quando anche lui è mancato, per qualche anno ho chiesto di darmi una mano in barca al Mario: un vecchietto simpaticissimo, che ripeteva spesso “non penserai di fami pescare sino a cent’anni”…» La vita va avanti. Gli uomini vanno a caccia, diceva Victor Hugo, le donne sono pescatrici. Rosella decide di risposarsi con Carlo: si conoscono da ragazzi, sono entrambi pescatori. «Un uomo bravissimo e molto buono. Una persona onesta», dice Rosella, ma la voce è velata di nostalgia: anche Carlo la lascia presto. Muore un mattino del 1980, mentre sono fuori in barca insieme, come tutti i giorni. «Eravamo al largo del porto dei Bergamini, qui, di fronte a San Benedetto. Ha avuto giusto il tempo di dirmi che si sentiva male e si è accasciato. L’ho perso in un attimo. È stata dura, ancora di più che la prima volta».
Per Rosella è un momento di crisi. Gli amici le dicono che deve a tutti i costi tornare sulla sua barca, ma lei è incerta: ha sempre pescato con qualcuno e non sa se è in grado di arrangiarsi da sola. Poi, una notte, sogna il marito. «Diceva di andare, di riprendere a pescare. Allora, mi sono detta, bisogna provare. E così ho ripreso: è molto diverso dall’essere in due, ma ho visto che me la cavo. Da 18 anni in qua pesco da sola. Qualche volta porto con me Nerone, il mio cane».
Nerone è oggi l’unico autorizzato a salire con Rosella, che dice di non essere disposta a prendere in barca altre persone, siano turisti, curiosi o giornalisti. «Io vado sul lago per lavorare; non posso star lì a perdere tempo o a parlare». Ogni mattina con la sua barca, che si chiama «Angela», lascia il porto dei Bergamini verso le 5, per andare a tirar su le reti che ha calato nel lago la sera prima. Due uscite quotidiane di cui non conosce in anticipo la durata perché «dipende da quel che si presenta da fare». Rosella ha lo sguardo pieno di vitalità e la risata pronta.
Non è arrabbiata con la vita che, dice, «ha dato e ha tolto. Io», aggiunge, «ringrazio il Signore mille volte al giorno della forza che mi ha dato per portare le mie croci. Ho tribolato tanto, ma mi sento serena: va bene così. Non ho ricordi brutti; solo dispiaceri». Fin che la barca va, insomma… E lei, la prima e ultima pescatrice, può ben dirlo. Anche se, precisa con una risata «so un pescador de bonassa», perché si limita a pescare nel parte di lago che ben conosce, lo specchio d’acqua che arriva sino a poco sopra Pacengo e si chiude a Sirmione. «Non vado mai tanto fuori; solo quando devo pescare il lavarello, perché quello si trova a 35, 40 metri di profondità. Per il resto mi basta il basso lago, dove sotto è come una grande pianura». Guarda il suo lago, Rosella, e sorride. Tutta la sua esistenza l’ha passata qui, «anche i mariti erano del posto.
Non mi sono spostata tanto nella vita; non ce n’era proprio bisogno. I castelli in aria non servono a niente». Lei attende che arrivi la luce del giorno per riprendere la sua barca e andare sulla sua campagna sommersa, a raccoglierne i frutti. «Il lago va rispettato, perché se si arrabbia non perdona. Bisogna essere buoni timonieri e poi sperare che vada bene. Io, però, ho imparato negli anni a non andare se le condizioni sono troppe brutte. Le burrasche non fanno più per me. Di lavoro ne ho lo stesso tanto da fare. E domani mi aspetta un’altra giornata di pesca».