venerdì, Novembre 22, 2024
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Le firme, la teca, i quadri che amava e un grande desolante silenzio

La stanza «sospesa» del primo cittadino

E’ dal 3 gennaio del 2002 (quindi da un anno) che la bella firma svolazzante di Cesare Malossini cade ad altezza d’ occhio di chi si presenta alla porta del Municipio, in piazza Tre Novembre. Prima non ci aveva fatto caso nessuno, ma ora – appesi su un foglio bianco dietro la vetrata – quel nome, quel timbro con stemma della città e quella grafia, fanno impressione. E’ l’annuncio del servizio di Stato Civile messo sulla porta del Comune per chi viene a bussare nei giorni di festa e di chiusura. C’è il numero di reperibilità dell’addetto al servizio di stato civile per gli «affari urgenti». Urgenti come la registrazione di una nascita o la denuncia di una morte. Firmato: Cesare Malossini. Fa impressione e dà un senso di vuoto e di profonda tristezza.Vuoto e triste è anche l’ufficio del sindaco con le finestre affacciate da un lato sulla Torre Apponale e dall’altro sul porto di piazza Catena. Per dovere d’ufficio, per le firme della burocrazia, il vicesindaco Pietro Matteotti ci ha messo dentro la sola magrissima cartella della routine quotidiana. Ma va e viene il «vice»; non sta alla scrivania; preferisce starsene nell’anticamera della segreteria, dove peraltro – parliamo di ieri mattina – è ancora un andirivieni di gente che chiede notizie da Verona. Notizie che in realtà già tutti conoscono in cuore.Dentro l’ufficio del sindaco, tutto è rimasto fermo come Cesare Malossini l’aveva lasciato la sera di martedì, prima di raccattare la relazione al bilancio e di recarsi, a piedi, in Rocca: camminando incontro al suo ultimo intervento da primo cittadino e incontro, ignaro, ad un destino crudele e beffardo. Non ci sono cassetti e armadi chiusi a chiave nella stanza del sindaco. Cesare Malossini, Malossini uomo ed amministratore, non aveva nulla da nascondere. Sotto la grande teca di pelle appoggiata sulla scrivania, ammonticchiati come i fatti della vita, sfilano gli ultimi auguri ricevuti a Natale, le foto di un cittadino che era andato a protestare per le auto parcheggiate davanti a casa, i biglietti da visita, appunti con cancellature, ritagli di giornale. Alle spalle la foto di Ciampi e un lungo mensolone con le evidenze: il piano regolatore, il programma della coalizione, le ultime relazioni delle delle società comunali. Ben ripiegata sopra uno scaffale c’è la fascia tricolore. A portata di mano. Pronta per le cerimonie dove Malossini svestiva le rughe e indossava il sorriso: un matrimonio, la visita di qualche ospite illustre, l’incontro con un collega straniero. Nell’angolo verso la Rocchetta il lucidissimo tavolo delle riunioni è solo uno scheletro sgombro. Tutto sembra assonnato, stanco e spento da un’assurda attesa. Un’attesa silenziosa. Come i paesaggi rivani sbiaditi di Pizzini, che il sindaco s’era fatto portare dal Museo. Adesso sembrano lastre di mute di marmo.

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