L’opera – che proprio il 22 giugno conterà la sua centesima rappresentazione in Arena – viene proposta nell’allestimento che ha inaugurato il Festival 2011 a firma di Hugo de Ana, con la coreografia di Leda Lojodice. Torna in Arena per la direzione dell’orchestra areniana il giovane maestro veronese Andrea Battistoni.
Un doppio centenario, per uno fra i titoli più amati e famosi, presentato a Verona in ben 13 edizioni dal 1946 al 2011. Per quest’ultimo allestimento il regista Hugo de Ana, che ne ha curato regia, scene, costumi e luci, pensa ad un “ring” dentro la gigantesca cornice di un quadro. In questo modo ne fa risaltare l’intimità pur nella vastità dell’Arena, in un dialogo continuo tra musica e scena, in equilibrio tra il vero e il verosimile. Il melodramma trae spunto dal romanzo e pièce teatrale La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio, ambientato nella contemporanea Parigi di Luigi Filippo ed ispirato alla celebre figura della cortigiana Alphonsine Plessis, morta di tisi a soli ventitré anni nel 1847, ribattezzata nel romanzo Marguerite Gautier e nell’opera Violetta Valéry. Il dramma viene messo in musica da Verdi in soli quaranta giorni, mentre il libretto viene perfezionato da Francesco Maria Piave in due settimane.
Hugo de Ana con la sua messa in scena posticipa La Traviata di un quarantennio, collocando gli avvenimenti nel 1890 per mantenere quel senso di criticità storica del periodo in cui è stata concepita l’opera. Il dramma borghese offre spunti di conflitto sociale, per cui l’intima vicenda di Violetta prende vita in una sorta di spazio dei ricordi, una pinacoteca smontata e messa a soqquadro, in cui le tele vuote sottolineano il gioco della verità e della finzione scenica. È in questo spazio che lo spettatore può cogliere le molteplici sfaccettature della vita della protagonista: la prostituzione, il denaro, la mondanità e la superficialità di un mondo in declino, dove lei rinasce con la scoperta dell’amore fino al momento estremo.
Il regista argentino ha dichiarato che non è stato facile «mettere mano a opere pensate per il chiuso, non per spazi dispersivi, problematici per svolgere una vicenda intima»: per questo l’idea delle enormi cornici semoventi, svuotate dagli specchi smontati e posti sul palcoscenico, così da colmare gli ampi spazi areniani. Ma anche per significare simbolicamente il lusso e nel contempo suggerire l’idea della decadenza dei sentimenti e della corruzione dei personaggi. Precisa infatti Hugo de Ana: «Non bisogna mai dimenticare che alla fine quest’opera è di forte impatto critico-sociale rispetto alla vita di certe persone che vivono in maniera forse spregiudicata, un po’ superficiale, sopra le righe. Di personaggi che possono passare la barriera del tempo per essere perfino attuali, dei nostri giorni».
E nel finale non c’è redenzione in senso religioso: «Nella morte della protagonista, di cristianamente religioso esiste solo l’accettazione, in una visione borghese assolutamente libera. Anche Verdi viveva così, se ha sposato dopo anni di convivenza la Strepponi. Non credo che ci sia questa specie di redenzione di Violetta nel senso morale: ne perderebbe di forza tutta la storia ed il soggetto. Voglio sempre vederla, invece, come una riflessione del personaggio davanti alla morte, che parta dall’idea del sempre addio».
Violetta è un personaggio profondamente umano, profondamente femminile, la cui sensualità è sottolineata finemente anche dai costumi scelti per l’allestimento. Il regista ha guardato ad un periodo ben specifico, partendo da un quadro visto al museo Revoltella di Trieste, una “Dama delle camelie” italiana di fine Ottocento, di un pittore poco noto, Eugenio Scomparini: «Ho guardato più volte quella pittura… ed è proprio Violetta che sta morendo. Ho sempre avuto l’idea di utilizzarla come immagine in un teatro più piccolo. Così ho ambientato la vicenda nel 1890, un periodo in cui, con la rinascita del mondo industriale, l’ambiente lascia segni profondi anche sui lineamenti della protagonista. La mia intenzione è quella di sottolineare la sua fragilità interiore, ma anche di evidenziare le caratteristiche di donna ideale per dare una forza visiva maggiore all’uso di espressioni chiare nell’allestimento». Ne scaturisce così una Traviata più vicina alla tradizione, al bel stile italiano del melodramma.
Grandi nomi della lirica internazionale sono impegnati per questo titolo, in scena dal 22 giugno per 9 serate fino all’8 agosto. Nei panni di Violetta Valéry vedremo la giovane promessa croata Lana Kos (22, 28/6 – 5/7 – 2/8), che ha debuttato in Arena proprio nel ruolo nel 2011 e che si dà il cambio con Elena Mosuc (12, 19, 23/7) e Maria Agresta (26/7 – 8/8). Per Alfredo Germont tornano in Arena John Osborn (22, 28/6 – 12, 19/7) e Francesco Meli (5/7 – 8/8), in alternanza al debuttante sul palco scaligero Matthew Polenzani (23, 26/7 – 2/8); il padre Giorgio Germont saranno Roberto Frontali (22, 28/6 – 5/7), Artur Rucinski (12, 19, 23/7) e Fabio Capitanucci (2, 8/8). Straordinariamente per la serata del 26 luglio il grande interprete verdiano Leo Nucci torna a vestire i panni di Germont all’Arena di Verona dopo 13 anni.