L’Ateneo di Salò, prima di assumere l’attuale struttura giuridico-associativa, ha attraversato diversi secoli: il che vuol dire che non solo le diverse temperie politiche ne hanno determinato le vicende, ma anche i mutevoli contesti sociali, culturali ed economici. Non è paragonabile l’attività di oggi con quella che si svolgeva alle sue origini. Del resto, l’attuale denominazione di “Ateneo” risale all’epoca napoleonica e, in quel periodo di tempo, un compito che le istituzioni pubbliche ritenevano importante che venisse svolto riguardava lo studio precipuo delle scienze agrarie e delle relative applicazioni. Prima d’allora l’Ateneo di Salò era stato un’Accademia di intellettuali, dediti per lo più allo studio e alla creazione di opere filosofiche, letterarie, storiche. In una parola, erano privilegiati gli studi umanistici. Quella di Salò o, per meglio dire, quella che in Salò ha avuto maggiore continuità di vita, tanto da durare fino ai giorni nostri (pur con mutato nome), è stata l’Accademia degli Unanimi, fondata nel maggio 1564. Ma altre ne esistevano prima, così come altre ne sorsero poi, senza tuttavia raggiungere né pari consistenza o autorevolezza né pari continuità operativa.
Va detto che la creazione dell’Accademia non è un fatto raro né esclusivo del territorio benacense. Il Cinquecento è un secolo che ne vede fiorire un po’ ovunque. Senza dubbio il territorio veneto di terraferma, in questo settore, è stato assai fertile. Ma va anche detto che sull’intero Benaco l’unica vera accademia, la cui vicenda storica è tutta documenta nel suo antico archivio nasce e si sviluppa soltano sulle rive del golfo salodiano.
A chi va attribuito il merito di averla fondata? I documenti lo assegnano a Girolamo Giuseppe Meio detto il Voltolina, poeta didascalico, autore di un poemetto “De hortorum cultura” che, insieme ad altri diciotto giovani dell’eletta società, decise di coltivare essenzialmente le lettere e la musica. Gli accademici avevano scelto per stemma uno sciame d’api ronzante intorno all’alveare con impresso il motto virgiliano “idem ardor”, nell’intento di voler sottolineare l’importanza della laboriosità degli adepti in concordia tra loro.
Qualcun altro, decenni prima, aveva sognato di fondare un’accademia sulle rive del lago ma non ebbe fortuna: è Jacopo Bonfadio da Gazzane (della terra di Salò) poeta e storico insigne, certamente di ben superiore tempra e sensibilità poetica rispetto al Voltolina, tanto da venir considerato dai posteri con lusinghiero giudizio critico. I l Leopardi lo incluse, con due brani, nella sua prestigiosa “Crestomazia italiana” e Benedetto Croce ne tessè le lodi. Ma la fine di Bonfadio, oltre che prematura, fu amarissima e tragica poiché fu decapitato a Genova per reati che, a tutt’oggi, non trovano riscontri certi né oggettivi: eresia, sodomia? O caduta in disgrazia presso la potente famiglia dei Fieschi? Quella che è certa è la sua dignità nel morire attestata da una lettera da lui scritta in carcere nella quale dichiara di non meritare tanta crudeltà.
Nel 1543 Bonfadio, da Padova aveva scritto all’amico Martinengo :”I castelli ch’io fabbrico col pensiero sono che io vorrei fare un’Accademia sulle rive del Benaco, o in Salò o in Maderno ovvero in Toscolano, e vorrei essere il principe io, leggendo principalmente l’Organo di Aristotile e le Morali, poi attendendo alla altre cose pulite ed a quelle lettere che son da gentiluomo. Così al Benaco verria onore, ed a me onore ed utile, e quella contentezza insieme, la quale fin qui non ho potuto ritrovare né in corte né in palazzi di signori.”