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L’Avvento all’Eremo camaldolese di San Giorgio

Un tempo di speranza messianica? È sempre stato un atteggiamento quasi naturale quello di guardare al proprio tempo come tempo di crisi, alla quale ci si può porre con due atteggiamenti in qualche modo polari: quello di chi insegue il nuovo come una palingenesi possibile, quello di chi guarda al passato come occasione perduta, come stagione in cui almeno alcuni valori erano sicuri e condivisi.

Sembrano comunque chiari almeno alcuni tratti di questa crisi, che almeno per noi che la viviamo sembra epocale. Ci limitiamo a segnalarne due che sembrano rilevanti nella percezione diffusa: il rigurgito di sentimenti particolaristici quando non egoistici, a livello personale o a quello dei gruppi sociali, con la conseguente diffidenza per il diverso; l’assenza di pensieri forti in cui identificarsi e in nome dei quali ritrovarsi in progetti condivisi, con il conseguente sentimento che questo è un tempo senza maestri. Questo significa inevitabilmente, su un piano spirituale e non solo civile che siamo anche in un tempo povero di speranze.

Che senso dare allora alla speranza messianica, che è un aspetto intrinseco del tempo liturgico dell’Avvento? Parlare di eventi che ci hanno preceduto come la venuta del Salvatore che ci predisponiamo a celebrare, e che avrebbero realizzato il tempo messianico, rispondendo alle attese di giustizia, di verità e di pace, ovvero parlare di un futuro di riscatto della storia e oltre la storia da attendere, quando si è frastornati da un senso di banalità del male che ci circonda, e che sembra respingere come incompatibile ogni sforzo di riduzione a condizioni almeno più dignitose il nostro convivere in un mondo che si è fatto sempre più piccolo, e in un tempo sempre più incalzante? Certo, ogni tempo ha le sue oscurità per chi lo vive, e una lettura demistificante delle vane speranze (che peraltro è parte del nostro credere, se un libro come il Qohelet, che se ne fa portavoce, fa parte del canone delle Scritture) ci può portare sanamente a dire: nulla di nuovo sotto il sole, salvo forse la complessità delle forze in gioco, e di riflesso la povertà di strumenti di comprensione e di giudizio.

Possiamo tuttavia tener conto di tre elementi che ci consentono forse di considerare che proprio la speranza messianica è quella speranza che non delude (cf Rm 5,5), che rafforza la nostra fede senza farci dimettere dalla razionalità, tanto da poter essere semplici come colombe senza nulla togliere alla lucidità del serpente.

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Una prima osservazione: la speranza messianica nasce da una profezia, cioè da una lettura del presente che sappia sottoporre gli eventi e le intenzioni al vaglio della Parola: e questa è indicazione di metodo che ci spinge continuamente a interrogare la Scrittura perché ci dica oggi come vivere l’obbedienza della fede, ci invita a non stancarci mai di cercare. “Bibbia e giornale”, diceva uno dei maggiori teologi del secolo scorso (K. Barth), sono entrambe necessarie per confessare la nostra fede.

Una seconda constatazione: la profezia non è mai soltanto in funzione di un giudizio, nel quale è facile mettersi dalla parte degli spettatori, oppure farsi vincere da un timore che paralizza, ma anche e sopratutto volta a suscitare una conversione, un coinvolgimento da perseguire con pazienza e ostinazione. Infine, sperare in un Messia che salva significa guardare con consapevolezza ai nostri deliri di onnipotenza, rimettendo il senso del nostro esistere e del nostro giudicare in una prospettiva che va oltre le nostre forze e i nostri sguardi, pur essenziali perché non si diventi noi stessi o ci si riduca a schiavi dei falsi profeti.

Certo questo tempo di crisi ci porta a dire: solo un Dio ci può salvare, e il Dio di Gesù Cristo (che appunto significa Messia) viene a noi come colui che conosce i nostri cuori e ci propone una pace non falsa perché frutto di conversione.

Questo è il nostro augurio per il nostro avvento, tempo di attesa di un Messia salvatore, e questo il filo che vorrebbe legare i consueti incontri di lectio divina proposti a tutti gli amici che intendono condividere la nostra preghiera, le nostre domande, e forse anche le nostre speranza

 

 

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