domenica, Dicembre 22, 2024
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Vecchie foto uscite dal cassetto riprendono vita proprio in questi giorni, alla notizia che è finalmente finita la guerra d’Africa più lunga tra Addis Abeba e Asmara

L’Italia e le sue guerre d’Africa

La bella notizia è giunta con l’inizio dell’estate, proprio il 21 giugno scorso, ma è passata nel mare della disattenzione perché quasi nessuno l’ha commentata. Gli italiani, e insieme a loro l’Europa, erano (sono) intenti su ben altri fronti, quelli che segnano le rotte del Mediterraneo per i profughi, per i migranti, per le Ong e per le Guardie costiere, quelle che puntano a innalzare i muri della politica belligerante anziché chinarsi sui drammi umani. Sul “mare nostrum” da tempo si combatte una guerra di nervi, originata da scontri ideologici, con lancio di parole niente affatto innocenti né innocue: il tutto in un contesto dove ad essere esaltata dovrebbe essere un’Europa unita, che invece unita non è, anzi stenta a ritrovare i valori fondanti delle origini.

La bella notizia, scrivevo, parla di una stretta di mano offerta dall’Etiopia e accettata dall’Eritrea dopo vent’anni di belligeranza: una lunga guerra della quale a noi sono giunti, forse, solo echi lontanissimi. Eppure,  quella zona d’Africa è tra le aree insanguinate dalle quali oggi partono le lunghe carovane di profughi che cercano un nuovo più sicuro destino.

La cronaca di questi mesi, mentre non finisce di toccarmi  sul piano umano, mi ha sollecitato a rispolverare vecchie foto di famiglia, per la verità sempre gelosamente conservate e mai esibite da chi, tra gli avi, in quelle stesse terre aveva combattuto, attratto dall’appello del duce che voleva per l’Italia la gloria imperiale. Allora, nel 1935, la retorica scorreva a fiumi ma la cosiddetta seconda guerra d’Africa non seppe mettere in evidenza le migliori virtù italiche, a cominciare dai motivi pretestuosi accampati per avviarla. In situazioni come quelle hanno buon gioco gli strumenti della propaganda che sanno come soddisfare gli istinti meno sofisticati della gente, e hanno la forza di cancellare ogni velleità di opposizione.

Mentre ricordavo i capitoli di quella maledetta guerra del secolo scorso, che avevo solo studiato a scuola, scorrevano sotto i miei occhi le immagini delle istantanee in bianco e nero che mi introducevano in quel mondo sconosciuto. Addirittura ho trovato le fotografie non solo della guerra del 1935-1936, ma anche quelle della guerra di Libia del 1911. Ricordo che, a proposito di quelle guerre, mi si ripeteva lo slogan “Italiani, brava gente!”, quasi a volermi dire che, in fondo, con la guerra gli Italiani hanno portato la civiltà; e anche che la guerra degli Italiani non sarebbe mai stata drammaticamente sanguinosa. Tuttavia, ad oggi, non mi è dato conoscere guerre pacifiche e nemmeno guerreggiate con grazia e cortesia. Ma non c’è solo la ragion di stato che decide sugli eventi della storia.

Ci sono anche le persone che, singolarmente, costruiscono i rapporti umani, che sanno fare i propri esami di coscienza, che leggono le parole del Vangelo, che conoscono altre persone, diverse solo nel colore della pelle ma non nei sentimenti, nel riso e nel pianto. La quotidianità si mescola con le vicende cruciali; i paesaggi maestosi e sacri dell’Africa si impongono fino a far apparire piccolo chi viene da fuori. Anche queste cose incidono sullo svolgersi della storia. Ecco, le foto che mi passavano tra le mani avevano questa capacità: mi comunicavano i pensieri e, forse, le parole di chi si era fatto ritrarre in un normale contatto di lingue, di colori della pelle, di abbigliamenti tanto diversi quanto ininfluenti, perché a prevalere era la vicinanza e la comprensione reciproca.

Testo e foto a cura di Pino Mongiello

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