lunedì, Dicembre 23, 2024
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Lo studioso Zorzin: «I rilievi più interessanti in Lessinia, ma la diffusione non fu solo in quell’area»

L’orso da sempre sul Baldo:«C’era anche 35mila anni fa»

L’orso bruno, quello che quest’anno è comparso sul Baldo, non ha fatto che tornare alla sua antica casa. A Ferrara di Monte Baldo e anche ad Avio di Trento, quindi sempre nell’ «Hortus Europae», soggiornò infatti circa 35 mila anni fa il «cugino», Ursus spelaeus , noto come orso delle caverne, il cui scheletro è stato ricostruito e può essere visto nella sala del Quaternario al piano terra del Museo civico di storia naturale di Verona.Nel Pleistocene questo animale abitava però soprattutto in Lessinia, dove, da cinque anni, l’équipe di Roberto Zorzin, conservatore della sezione di geologia e paleontologia, sta portando avanti un’importante campagna di scavo. Ogni anno si scava tra novembre e dicembre e tra qualche giorno si ricomincia. Si lavora nella grotta inferiore dei Covoli di Velo, dove sono stati finora recuperati oltre 2000 resti attribuiti appunto all’orso delle caverne.«Ma gli orsi sono animali erranti», precisa Zorzin. «E il fatto che i giacimenti più importanti siano a Velo non significa che l’Ursus spelaeus, che per un certo periodo convisse con l’orso bruno e poi si estinse, non vivesse anche altrove». Anzi. Se nel Pleistocene trovò qui l’habitat a lui più consono, altri giacimenti sono stati trovati negli anni ‘90 in varie zone della provincia e anche sul Monte Baldo. «Del materiale è stato rinvenuto in un arso (frattura riempita d’argilla ove spesso si trovano selci o resti ossei ndr) in località Orsa o Orsia a Ferrara di Monte Baldo e ad Avio nella “Grotta dei pipistrelli” a 1050 metri di altitudine», fa sapere l’esperto.Lo scavo che sta in ogni caso dando più soddisfazione è quello ai Covoli di Velo. «Questo sistema carsico è formato da tre cavità principali», spiega Zorzin, «e da altre minori situate nella Valle del Covolo, tra Velo e Selva di Progno, a un’altitudine tra gli 860 e gli 890 metri». Fin dal 1700 questo complesso carsico è stato oggetto d’interesse da parte d’illustri personaggi e naturalisti veronesi, che studiarono gli anfratti e i reperti qui raccolti.E sull’orso, Zorzin precisa: «Le informazioni ricavate dalle varie analisi permettono di calcolare il numero d’individui, di dividerli in classi d’età, di stabilire il dimorfismo sessuale, di confrontare i dati di questa popolazione d’orsi delle caverne con quelli presenti in altri anfratti d’Italia e/o d’Europa». Grazie a uno studio sulle ossa lunghe si deduce che il numero minimo di orsi delle caverne nella grotta inferiore fosse di circa 90 individui, il 57 per cento cuccioli, il 24 giovani, il 19 adulti. Il periodo paleoambientale appare l’ultimo Glaciale.Ecco la carta d’identità dell’ Ursus spelaeus, un bestione, di dimensioni uguali se non superiori a quelle del più grande orso del Nord America, il Grizzly. Era lungo oltre due metri e alto un metro e mezzo al garrese. Il cranio era allungato a fronte alta con cresta sagittale molto rilevata. La dentatura era caratterizzata da premolari ridotti, talvolta i premolari anteriori mancavano, mentre erano presenti molari, larghi e robusti con numerose piccole cuspidi. I canini presentavano forma conica ed erano sviluppati, a dispetto di una dieta prevalentemente vegetariana.L’orso bruno ha caratteristiche simili, anche se è molto più piccolo. Ha comunque le stesse abitudini dell’antico cugino: ama la montagna, il clima rigido, predilige il cibo a base di bacche, frutta, miele e vegetali anche se non disdegna le carni come ha dimostrato quest’estate, sul baldo, divorando alcuni agnelli.

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