lunedì, Dicembre 23, 2024
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Una decina di roulotte sparpagliate su uno spiazzo aperto che confina con i campi e la strada provinciale, una trentina di persone piene di dignità e tanti bambini che si divertono.

«Noi siamo Rom, non rubiamo e crediamo nel Vangelo»

Bahtalociadrom in Rom vuol dire Buon viaggio. È il saluto tipico che i nomadi, gli zingari si danno l’un l’altro, ogni volta che una carovana riparte dal luogo di sosta. Soste brevi, quattro, cinque, dieci giorni al massimo, tanto di più infatti non consentono le ordinanze dei comuni. La famiglia Clurara Lovara è di origine gitana, la loro regina Lisa, 87 anni, è spagnola e ha sposato un Rom italiano. Hanno fatto sosta sulla strada che da Costermano conduce a Bardolino. Le roulotte, circa una decina, sono sparpagliate su uno spiazzo aperto che confina con i campi e la strada provinciale, lontano da zone industriali o artigianali. Di fronte tre case e un vivaista. La gente, forse nemmeno trenta persone fra uomini e donne, è seduta sotto le verande. Le donne sono eleganti in costumi bianchi, arancio o verde smeraldo puliti all’apparenza appena stirati. Addosso hanno poco oro, niente fili di collane o orecchini appariscenti, e questo contrasta con quanto si è abituati a pensare. Dappertutto bambini che corrono e giocano, quasi una ventina. Ce ne sono di tutti i colori e di tutte le età, biondi, castani, neri, con gli occhi scuri e chiari, con la pelle olivastra o bianca come il latte. Sue Ellen, due anni, un vestitino a fiori pulitissimo, è biondissima con gli occhi azzurro pervinca. «L’abbiamo rapita», dice Johnny, 20 anni circa, uno dei maschi giovani del gruppo. Fa dell’autoironia su uno dei più antichi luoghi comuni attribuiti a questo popolo nomade. «Il padre è un Rom americano», spiega Daniela, è lei portavoce del gruppo, probabilmente una delle matriarche. Le donne e i ragazzi giovani con i bambini che ruzzolano attorno, sono sedute sotto una veranda, a parte, sotto un’altra, gli uomini adulti. «Noi ci sposiamo fra clan di paesi diversi, per questo i nostri bambini sono di tanti colori», spiega. Ma cos’è il clan? «Parlare la stessa lingua. Un Rom americano parla inglese ma anche Rom e noi ci capiamo in tutta Europa. La famiglia, invece, è quando ci sono legami di sangue, di affetto. Le varie famiglie sono comandate da un capo, che può essere un uomo ma anche una donna, come nel caso della famiglia Clurara. «La regina dà le leggi e fa rispettare il Vangelo», sintetizza Daniela, «noi siamo di religione evangelista». In realtà il suo potere è molto più ampio. Non si limita a comporre i dissidi fra le famiglie del gruppo, può anche «entrare» all’interno delle coppie che litigano e riprendere un cattivo coniuge, uomo o donna che sia, e poi insegna alle giovani nuore le regole di comportamneto del nuovo gruppo di appartenenza, ma soprattutto sovraintende all’educazione dei bambini. Controlla che vengano allevati bene, che non siano maltrattati, li protegge. «Non hanno chiesto loro di nascere, no?», continua Daniela. «Dopo che li si è fatti bisogna crescerli e farli stare bene. Per noi sono tutto». Il titolo di regina si eredita per via matrilineare, di madre in figlia, ma non per diritto d’età, ma per capacità e competenza. «Ci vuole testa per farlo e bisogna imparare, andare a scuola fin da piccola». Ma nel caso di grandi clan il titolo può essere elettivo e allora migliaia di zingari si ritrovano per darsi un nuovo capo. E i raduni, matrimoni, battesimi, occasioni religiose ( l’ultimo, a Milano, ha visto riunite più di 1000 roulotte da tutta Europa) sono anche un modo per i giovani di conoscersi, fidanzarsi e sposarsi, ma sempre con il consenso delle famiglie. Se quest’ultimo manca la giovane coppia può fuggire e mettere tutti di fronte al fatto compiuto. Come pare sia successo per la ragazza Rom data per rapita ad Affi. «Era innamorata di suo cugino ma la famiglia non voleva il matrimonio», spiegano Johnny e un suo amico, «così sono scappati. Il problema è che lei è minorenne e li hanno denunciati. Ma magari fra un mese lei si fa viva con una telefonata». Diffusi anche i matrimoni misti con i Gaji, i sedentari, come vengono chiamati i non nomadi, che abitano sempre nelle case. «Sono tante le donne che sposano un gajo», dice una donna vestita di bianco chiamata da tutti Zia. Raro, invece, è che una stanziale sposi un nomade. «Le donne gaji hanno gonne troppo corte, calzoni aderenti, vanno a ballare e divertirsi», spiega Johnny. «A noi questo non va bene, non è serio». Quasi sempre, però, è lo stanziale che deve adeguarsi alla vita del clan o della famiglia. «La cugina della nostra Regina è stata sposata ad un gajo per quarant’anni. Poi lui ha voluto tornare alla vita ferma di prima e così, per le nostre leggi, ha perso tutti i diritti sui nove figli avuti. Senza figli non ha affetti e non ha nulla». Nella famiglia Clurara gli uomini lavorano. Fanno gli stagnini, i calderai. «Abbiamo camion e officina e andiamo da ditte che ci danno utensili e oggetti di metallo da aggiustare e rifilare. Poi ci ripagano il lavoro. Ora è estate, le fabbriche sono chiuse e anche noi siamo in vacanza». E gli zingari che rubano, e i bambini sporchi che chiedono la carità? «Non sono Rom», si infervora Daniela. «Vestono come noi, hanno roulotte, girano, ma fingono, mentono, non sono Rom». «Noi li chiamiamo slavi perché vengono dalla Jugoslavia», dice Zia in tono dispregiativo. «A noi i nostri uomini ci mantengono. Le donne leggono la mano se vogliono, ma stiamo bene, siamo ricchi. Sono i gaji che ci vedono tutti uguali». Teresa ha 23 anni, si è sposata a 15 e ha sette figli. «Uno per anno», la prendono in giro gli uomini attorno. «Ho chiesto un bidoncino d’acqua alla gente qua attorno e non me l’hanno data. Volevamo portare i nostri bambini in piscina, pagando, e non ci hanno fatto entrare. Perché? Anche i nostri figli hanno caldo. Ci dicono che siamo sporchi. Ma non ci sono fontane d’acqua o bagni pubblici. Per le docce andiamo alle stazioni dell’autostrada. D’inverno poi ci dobbiamo fermare perché i bambini vanno a scuola». La famiglia Clurara Lovara ha levato le tende due giorni fa. In eredità ha lasciato quattro cumuli ordinati di sacchetti di plastica pieni di immondizie. Il Comune, per accontentare la gente, ha scavato un fosso all’imboccatura della stradina per impedire un domani la sosta ad altre carovane.

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