domenica, Dicembre 22, 2024
HomeRubricheA cura di Angelo PerettiOlio del Garda: una storia millenaria

Olio del Garda: una storia millenaria

Sul lago di Garda l’olivo è di casa da più di mille anni. Furono i grandi monasteri dell’alto medioevo a diffonderne la coltivazione: necessitavano di scorte d’olio per illuminare le chiese e svolgere i riti sacri, ma dall’area del Mediterraneo non ne proveniva più una quantità sufficiente. Allora presero a piantare olivi dovunque la pianta avesse qualche speranza di riuscita. Nell’area dei laghi prealpini l’olivo trovò il clima ideale. «Garda deputavit ad olium», e cioè: «Il Garda è destinato a produrre olio». Così stabilì nell’835 Wala, l’abate del potente monastero di San Colombano di Bobbio: è forse la data d’inizio dell’olivicoltura sulla riviera benacense. Così le sponde del lago si coprirono di oliveti sempre più fitti. E si diffusero i frantoi: ce n’erano un po’ ovunque. Qui e là se ne vedono ancora le antiche macine o i contrappesi in pietra.

L’olivo caratterizza tuttora ampia parte del paesaggio gardesano. Nel tratto meridionale contende il terreno al vigneto, più a nord domina pressoché incontrastato sino ai primi boschi delle montagne dell’Alto Garda bresciano o del Monte Baldo. Alcuni oliveti sono particolarmente spettacolari, con i loro vetusti, contorti, altissimi alberi: ad esempio, una passeggiata fino a Campo di Brenzone, paese medievale abbandonato, è l’ideale per visitare una delle più affascinanti distesa d’olivi del Garda. Ed è la casaliva la varietà (dal punto di vista tecnico si parlerebbe di cultivar) regina dell’uliveto benacense. È straordinaria: permette di produrre, se bene interpretata (e cioè se la raccolta vien fatta quando le olive cominciano appena il cambio di colore e se poi i frutti sono franti con rapidità), oli di grand’eleganza. In grado di competere con qualunque altra grande terra olivicola.

Ma anche altre cultivar concorrono alla creazione degli oliveti rivieraschi: il leccino, il frantoio, il pendolino, il favarol, e poi altre varietà antiche e rarissime come il rossanel, la razza, il fort, il morcai, il trepp.

L’extravergine d’oliva del Garda ha da qualche anno il marchio europeo della dop, la denominazione d’origine protetta. È un olio che si caratterizza per i toni fruttati di mela golden, di erbe di prato, di fieno appena sfalciato, di mandorla, di nocciola: un gioiellino. Il colore varia dal verde al giallo, a seconda della stagione. Quand’è appena spremuto, la tradizione vuole che lo si provi sulla bruschetta (una fetta di pane insaporita sfregandoci sopra uno spicchio d’aglio) oppure sulle patate lesse. Terzo test tradizionale: un’insalata di solo radicchio rosso, condita con olio, aglio e un trito finissimo d’acciughe. In tavola accompagna tutta la cucina tipica del territorio, dal pesce alle verdure, dalle zuppe alle carni. E c’è chi lo sostituisce al burro anche per realizzare il classicissimo spiedo bresciano.

La dop dell’olio extravergine d’oliva del Garda prevede tre sottomenzioni geografica: il termine Bresciano identifica la produzione di ventisette comuni, appunto, della provincia di Brescia, l’appellativo Orientale riguarda diciannove comuni della provincia di Verona e sei di quella di Mantova, quelli cioè a ridosso del lago, mentre la definizione Trentino fa riferimento a undici comuni della provincia di Trento. Il sogno? Che la ristorazione gardesana ne abbia sempre una selezione disponibile. Magari di tutt’e tre le aree.

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