Lo scrittore riferisce in un suo libro di una zuppa di verdura che soleva mangiare la sera durante il suo soggiorno a Gargnano. Ma, nell’area benacense, si possono gustare anche la minestra “spurca”, con la carne, e quelle di fagioli e di castagne
Lo scrittore britannico David Herbert Lawrence fu sul Garda fra il 1912 ed il 1913. A Gargnano. Di quel soggiorno ha lasciato memoria nel «Twilight in Italy». «La sera c’era sempre la minestra» dice in questo suo libro-diario. Ma di che tipo di minestra si trattava? Quasi certamente, quella mangiata da Lawrence sulla riviera gardesana era una semplice zuppa di verdure cotta a lungo, a fiamma bassissima, sul camino di casa.
Verdure crude e cotte e zuppe di verdure sono state per millenni la base dell’alimentazione contadina italiana, insieme con le «pultes», le polentine liquide di cereali simili, appunto, ad altre minestre.
Solo da un paio di secoli le antiche «pultes» sono state sostituite dalla polenta di farina di mais.
In riva bresciana, a dire il vero, la minestra per eccellenza non è di verdure. È invece quella minestra «spurca» che fa da apripista alle grandi mangiate di spiedo. Minestre di carne, pochi lacerti carnei e pochissima pastina. Un sorta d’eccellente aperitivo apristomaco che precede il monumento gastronomico della brescianità cacciatrice.
Per ritrovare invece oggi le minestre di verdure occorre andare soprattutto sull’altra riviera, quella veneta. E qui le zuppe tipiche sono sostanzialmente tre.
La prima, la più elementare, ormai quasi in disuso, è lo «sguasét» che qualcuno, ma raramente, prepara ancora nelle case di Brenzone.
Nel minestrone vengono inserite tutte le verdure fornite dall’orto. Prima di metterle nel piatto, le verdure, quasi consumate dalla lunga ebollizione nell’acqua, vengono schiacciate con la forchetta dentro al cucchiaio.
Sopra alla zuppa si può versare un filo d’olio.
L’altra zuppa classica del Garda orientale è quella di fagioli della tradizione contadina di tutto il Veneto. Per arricchirla, c’è chi ama inserire in pentola durante la cottura della cotica di maiale (oggi si usa quella, più raffinata, del prosciutto) oppure delle croste di formaggio grana, che diventano morbide e saporitissime.
D’inverno il minestrone di marroni si consuma caldo, d’estate freddo. Come nel caso dello «sguasét», è d’obbligo la rifinitura con l’olio extravergine d’oliva versato direttamente nel piatto.
La terza minestra è un piatto tradizionale di San Zeno di Montagna, sul versante gardesano del Monte Baldo.
È il minestrone di marroni, variante locale della minestra di fagioli. In realtà, non è un’esclusiva dell’area baldense, perchè l’uso delle castagne nelle minestre ha attraversato le regioni ed i secoli. Basti pensare che già il milanese Bonvesin de la Riva, vissuto fra il 1240 ed il 1315, poeta e grammatico, ebbe a scrivere che le castagne «spesso si lessano senza guscio e, cotte così, molti le mangiano con i cucchiai»: minestra poverissima, insomma.
Un’altra citazione d’una minestra di castagne la troviamo in un celebre trattato di cucina del 1766, il «Cuoco piemontese perfezionato a Parigi», edito a Torino.
In questo caso la zuppa è fatta, oltre che con le castagne, anche con cipolla, sedano, carote e porri, con aggiunte di aglio e chiodi di garofano.
Ma si tratta di sapori che oggi risulterebbero un pò stonati.