lunedì, Dicembre 23, 2024
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Introdotte dai francescani nel XIII secolo, ora stanno scomparendo. Fatale per le piante l’inverno dell’85. Richiesta all’Unesco per riconoscere le coltivazioni patrimonio dell’umanità

«Salviamo le limonaie del Garda»

Filari di pilastri bianchi, assi di legno e piccoli muretti: sono le limonaie del lago di Garda, caratteristiche serre a terrazze dove da secoli si coltivano i limoni. Limoni particolari, a lunga conservazione, che nell’Ottocento venivano commercializzati anche a San Pietroburgo. Ora queste coltivazioni, che nel tempo non hanno resistito alla concorrenza con le produzioni del Sud Italia, sono a rischio di estinzione. E i tipici giardini piantati ad agrumi stanno per scomparire. Eppure duecento anni fa, queste colture fecero la fortuna della riva occidentale del lago: le condizioni climatiche della zona, unite alle particolari strutture architettoniche, ne favorirono la produzione, spingendola addirittura a livello industriale. Il periodo felice durò fino al termine della seconda guerra mondiale. Intanto la fama dei «giardini dei limoni» si era diffusa in tutt’Europa, attirando artisti e letterati. Ne fu affascinato anche Goethe, che se ne ricordò nel suo «Viaggio in Italia». Oggi, invece, questo patrimonio ha perso il valore economico di una volta. Sono pochi i coltivatori superstiti, soprattutto nei territori di Limone e Gargnano, che però non possono competere con i produttori siciliani e anche spagnoli. Così a poco a poco sono venute meno le risorse per mantenere le limonaie, le serre necessarie per proteggere le piante dal freddo e dalla calura estiva. Ma qualcuno si è affezionato ai pilastri bianchi in riva al lago e non vuol vederli cadere a pezzi. Una strada per salvarli potrebbe essere farli dichiarare patrimonio dell’umanità. E’ quanto cercando di fare Marialuisa Monesi, organizzatrice del convegno sulle limonaie che si è tenuto ieri a Desenzano sul Garda: «Perderle significa rinunciare alla connotazione mediterranea del lago – spiega la manager -. Il riconoscimento da parte dell’Unesco sarebbe un passo importante per salvaguardare ciò che resta del passato: le limonaie rappresentano un documento storico importante sulla coltivazione degli agrumi in un clima così ostile». La coltivazione dei limoni sul lago ha origini lontane nel tempo: secondo la tradizione a introdurla furono i frati francescani nel XIII secolo. Fu allora che cominciarono a essere costruite le tipiche strutture per difendere le piante dalle intemperie. Il caldo trattenuto dalle acque del lago, infatti, non è sufficiente per favorirne la crescita: i limoni vanno protetti soprattutto dagli sbalzi di temperatura. Per questo la piantagione è organizzata in «còle», cioè in terrazze. Ogni tre metri si eleva un pilastro che delimita lo spazio destinato alle singole piante. All’interno viene collocata una struttura in legno chiamata castello, che permette ai fusti di raggiungere un’altezza di dieci metri. D’inverno, invece, la struttura viene coperta da assi di legno e da vetrate. E per difendere la piante dagli spifferi, viene messa della paglia nelle fessure. Nel ‘900 i limoni iniziarono gradualmente a diminuire. Fino al 1985 quando l’inverno eccezionalmente rigido e nevoso decimò le poche piante sopravvissute. Oggi i terreni rimasti vengono mantenuti grazie alla passione di pochi proprietari. La limonaia più famosa, il «Prato della Fame», che sorge tra Campione e Gargnano, è stata recuperata grazie all’intervento della Comunità montana. Oltre ai limoni, nella serra crescono arance, pompelmi, mandarini e bergamotti.

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