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La chiesa si trova all’interno del cimitero di Castelletto di Brenzone

San Zen de l’oselèt e i suoi enigmi

La chiesa di San Zen, conosciuta con questo nome, la pieve era, in realtà, dedicata a San Giovanni Battista, come dimostrano gli affreschi che ne celebrano la vita. Per quanto riguarda “l’oselèt”, si tratta propriamente di un gallo, posto sopra la tozza pina del campanile: il gallo, annunciando con il suo canto il sopraggiungere dell’alba, cacciava i fantasmi, i demoni e la paura della notte. Nell’immagine sotto a destra: l’apparizione dell’Angelo a San Zaccaria, annunciandogli la nascita del figlio Giovanni Battista, e la Decollazione del santo.

Sulla sponda orientale del lago di Garda, merita di essere visitata la chiesa di San Zen de l’oselèt, all’interno del cimitero di Castelletto di Brenzone. Sorge poco prima del centro abitato, affacciandosi sulla riva.

Conosciuta con questo nome, la pieve era, in realtà, dedicata a San Giovanni Battista, come dimostrano gli affreschi che ne celebrano la vita. Per quanto riguarda “l’oselèt”, si tratta propriamente di un gallo, posto sopra la tozza pina del campanile: il gallo, annunciando con il suo canto il sopraggiungere dell’alba, cacciava i fantasmi, i demoni e la paura della notte.

San Zeno sorge nella zona in cui, anticamente, si trovava un insediamento romano, sopra i ruderi di un tempio pagano. Prima della costruzione del cimitero, la chiesa presentava un gran fonte battesimale -la cosiddetta Bàsia de S. Zen- sorretto da un piedistallo lavorato. Era dunque una chiesa baptismalis (dove veniva somministrato il battesimo) e non una semplice cappella comunale, date le sue dimensioni e l’eleganza degli affreschi.

Per stabilire il periodo di costruzione, gli studiosi discussero a lungo e oggi la teoria di W. Arslan (L’architettura romanica nel veronese, 1939) risulta essere la più attendibile, collocandolo fra la metà del XII sec. e l’inizio del XIII.

L’interno è a due navate: la principale, il doppio dell’altra, presenta due absidi; nella navata minore invece, nascosta dal tetto a spioventi, si trova la porzione di pitture più conservata.

Gli affreschi sono tardo-romanici e d’impronta bizantina, ne sono prova la solennità delle figure e l’azzurro utilizzato per decorare lo sfondo. Si può però cogliere un’arte più disinvolta nei personaggi, che non mantengono una rigidità statica, né compiono gesti magniloquenti e nei visi, in cui affiora una minima espressione.

L’autore, o meglio, i due autori rimangono ignoti: il primo ha realizzato nella parete settentrionale L’apparizione dell’Angelo a San Zaccaria (nella foto), annunciandogli la nascita del figlio Giovanni Battista, e la Decollazione del santo. Il secondo, più elegante, ha affrescato due episodi dell’Esodo, Traditio legis e Nascita di Maria Vergine e presentazione al tempio, contrapponendo ai forti contrasti e al gusto popolare del “collega”, delicatezza nella scelta cromatica e nella pennellata. Si tratta forse dell’artista Ciconia, del XIV sec., firma che ritorna almeno una decina di volte nella Diocesi di Verona, ma rimane tuttora un mistero.

Sta di fatto che il visitatore si trova di fronte a due stili pittorici di differenza quasi abissale, in una situazione singolare, che colpisce per la sua particolarità, ma senza sminuire la bellezza e il fascino del luogo.

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