Gianni Salvadori morì nel 1963, ammalato di guerra. 13 anni dopo il ritorno, la guerra lo piegò. La guerra uccide anche 13 anni dopo la sua fine ufficiale. Gianni Salvadori di Villanuova sul Clisi, nato nel 1911, era finito prigioniero sotto gli inglesi in Sudafrica. Un giorno s’era messo a disegnare il perimetro e le fisionomie del campo su una parete della sua stanza, infine aveva firmato. Un modo per attingere alla fantasia della resistenza. Alcuni mesi fa, Philip e Almien Du Toit, una coppia di inglesi proprietari del villaggio turistico sorto sul vecchio campo di concentramento, trovarono tracce del disegno e registrarono testimonianze di alcuni turisti sul destino di Gianni Salvadori: «Dov’è finito quell’italiano simpatico e buono?». Incuriositi, cercarono di lui, chiesero all’agenzia turistica di Padova, noi entrammo in campo, intercettando l’e-mail veneta. Sapemmo subito di Gianni Salvadori delle 3 nipoti, Ivana, Marisa, Gianna, di una loro impossibilità ad andare laggiù, ma di un’offerta di ospitalità perchè gli inglesi venissero a Brescia. «Tanto più – ci ha appena detto la signora Ivana – che io ho una figlia che insegna inglese. Se vengono, sarà bello». Chiameremo i padovani, sentiremo gli inglesi. Bombe sotto il lago Intanto, sempre intorno alla nostra pagina su Salvadori e i molti bresciani prigionieri degli inglesi in Sudafrica e in India, abbiamo ricevuto una telefonata. Voce calda, discorrere lungo, di un barocco razionale, limpido. «Sono Gaetano Buono, nel 1943 ero Capo dell’Ufficio politico della Questura, per tanti anni sono stato Capo di Gabinetto. A proposito delle bombe che sono state trovate nel lago, vi posso spiegare che…». Alt! A quel punto, il collega Antonioli ci ha mandato all’attacco per la conquista del tesoro. Quando ti capiterà di ascoltare un Capo del genere in quegli anni strategici, per leggere chi siamo e chi siamo stati? Il dott. Gaetano Buono è guardato da lontano dalla signora Rosetta. Sono uniti da sempre, si capiscono prima ancora di parlarsi. Coppia di diamante. Lui è nato nel marzo del 1916, fra circa 4 mesi compirà 90 anni. È arzillo e incontenibile, il ritmo di una mitraglia lenta. Narra ore, giorni, anni. Non sbaglia un nome. Dice: «Ho letto la notizia sulla bomba ritrovata in fondo al lago di Garda. Io la conosco bene la questione delle bombe finite in fondo al lago di Garda. Allora, era il 1945, nel mio ufficio in Questura, in via Musei, venne da me il colonnello Domenico Picca, comandante del presidio militare. Mi informava che la Polveriera di Mompiano, che sarebbe saltata per aria l’anno dopo, era ormai satura e che si era deciso di buttare le bombe nel Garda, in particolare nell’area di Malcesine, tra le più profonde del bacino. Fu incaricata dell’operazione la ditta Catalani. Si trattava di bombe da mortaio 81. Bombe capaci di distruggere un obbiettivo a 4 chilometri di distanza». Sui fondali del lago dormono migliaia di bombe efficienti. Esiste una morte delle bombe? Per consunzione, per infarto, per sba- diglio? È normale, è giusto che non si bonifichino, radicalmente, quei siti? Basta la sicurezza che ci dà il non passare di quelle parti? Esiste o non esiste anche un concetto di calma, di sicurezza morale? Sono domande a cui cerchiamo di rispondere, tecnicamente, nel servizio a fondo pagina. Il dott. Gaetano Buono ha in tasca un libro mai scritto. Ci starebbero inediti su tante vicende. Dev’essere, il dott. Buono, tra i personaggi più informati sulla storia bresciana dal 1943 al 1960. Poi andò a Venezia – e qui nasce una straordinaria invocazione non “buonista” di Buono – quindi governò un po’ tutti gli uffici in Loggia. Dovendo scegliere alcuni racconti di una conversazione indimenticabile, ci terremo il capitolo sui bauli di Claretta Petacci, la fucilazione del Questore Candrilli, la fuga da Canton Mombello di Telesio Interlandi, teorico del razzismo, intellettuale controverso vicino a Mussolini, carissimo a tanta intellighentia di sinistra, la visita di Churchill a Gardone Riviera nell’agosto del 1949. Sullo sfondo il primo feroce omicidio del Dopoguerra.Le scarpe autarchiche di Claretta Sorride sotto i baffi che ha, spessi e grigi, il dott. Gaetano Buono, quando ri-conta il numero dei bauli delle scarpe autarchiche con tacchi di sughero di Claretta Petacci. «Nel 1948 – ricorda il dott. Gaetano Buono – un funzionario del Ministero degli interni, il dott. Ferrara, aveva ricevuto una soffiata su dei bauletti appartenenti a Claretta Petacci. A quel tempo, mezza Italia cercava il tesoro di Dongo e il carteggio Mussolini-Churchill. Così, quei bauletti intrigavano non poco. Un mattino il funzionario degli Interni venne in Questura con un bauletto. Lo aprì. dentro c’erano decine di scarpe attribuite a Claretta Petacci e uno slip a rete nera. Si parlò di altri bauletti, 5 per l’esattezza. Erano sepolti a villa Cervi. Io ne vidi soltanto uno, gli altri, probabilmente finirono a Roma. Si disse che contenevano indumenti del Duce, stivali, roba del genere» Fucilazione del Questore Candrilli «Io c’ero il giorno in cui fu fucilato il Questore di Brescia, Manlio Candrilli. Ero incaricato della sicurezza. Era una mattina di tarda estate (l’1 settembre ndr), con altri funzionari attendevamo sul prato del Poligono di Mompiano. Lui scese dal cellulare, vide le assi della bara in cui sarebbe stato deposto e disse: «Non è una bara degna del Questore di Brescia». Chiese di non essere fucilato alle spalle. Non gli fu concesso. Si sistemò sulla sedia e prima di cadere disse: “Perdono tutti quelli che mi hanno fatto del male, sono innocente, vado in Paradiso”. Non ci fu bisogno del colpo di grazia. Il suo corpo era trivellato dai mitra». La fuga da Canton Mombello del teorico della razza «Ero capo dell’Ufficio Politico della Questura, dopo il 25 luglio del 1943, dopo la caduta del fascismo – racconta ancora il dott. Gaetano Buono – venni a sapere che Telesio Interlandi, profittando di uno scambio di persona, fuggì da Canton Mombello. Interlandi era un pezzo da novanta e ci fu uno scompiglio incredibile. Telesio Interlandi fu nascosto nella casa dell’avv. socialista Enzo Paroli. I due divennero amici, l’avvocato Paroli difese Interlandi che riuscì a cavarsela. Interlandi e Paroli divennero, il nero e il rosso, come li chiamò proprio lei, in un libro scritto inseguendo le tracce di Leonardo Sciascia nella nostra città, proprio a proposito di questa straordinaria vicenda che lo scrittore siciliano voleva sigillare nell’ultimo libro della sua vita». Churchill sul Lago di Garda Il dott Buono ironizza sulle ricerche dei carteggi e dei tesori, ricorda perfettamente l’arrivo di Churchill nell’agosto del 1949. «Churchill era accompagnato dalla moglie e dalla figlia, non usciva dal Grand Hotel di Gardone Riviera. Veniva sulla spiaggetta, dipingeva qualche ora circondato dai nostri agenti della Questura e dai suoi 15 dei servizi segreti inglesi. Si spostò a Carezza. Dicevano che cercasse il carteggio con Mussolini. Per noi, a Gardone Riviera c’era il dott. Catalini a controllare la situazione. I nostri dissero che a Dongo trovò quello che cercava. Quando ritornò in Inghilterra, per gratitudine regalò una medaglietta al dott. Catalini…». Il ritorna alla normalità venne avanti lentamente. La guerra riverberò duramente per molti anni dopo, fino alla metà degli anni Cinquanta. Si consumarono vendette, si spostarono fortune, si cambiarono casacche. E a voler guardare bene, non è ancora finita del tutto. «La fine dell’anno 1945 – conclude il dott. Gaetano Buono – che doveva allargare gli spiragli della pace, si aprì con un delitto orrendo. Un uomo assassinò la moglie. La Polizia non riusciva a venire a capo dell’omicidio. Al dott. Tempera capitò la fortuna che serve per scoprire i cosiddetti delitti perfetti: si aggirava nella casa del sospettato, socialmente insospettabile, si angosciava per non riuscire a venire a capo del delitto. Prese a caso un libro da uno scaffale, quasi a ingannare l’attesa, lo sfogliò. Una lettera scivolò fuori. L’aprì. Lesse: “Presto saremo insieme…”. Il movente era nella lettera nascosta in un libro». Il dott. Gaetano Buono è instancabile, non fa una piega mentre ripassa anni immensi. A richiesta, scopre il giorno e l’anno di nascita: «23 marzo 1916, una figlia, Vilma, felicemente sposato dal 1949». La signora Rosetta sorride, conferma il “felicemente”. Infine coniuga il segno: «Sono del segno dell’Ariete…». Dell’Ariete, ovvio!