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Il lago e le rocce a picco sull’acqua, il battello e il porto, il curato e i contadini, il sentiero e le case in un romanzo di Karl von Heigel

Tremosine: un posto magnifico!

L’editoria gardesana offre spesso piacevoli sorprese. Segnalo qui il libro Sull’azzurro lago di Garda, 304 pagine fittissime, curate da Paolo Boccafoglio, che l’Amministrazione comunale di Arco, tra le più attente per il settore culturale, ha pubblicato nel marzo 2001 come quarto dei “Quaderni della Biblioteca”.

Contiene la traduzione di quattro testi dello scrittore tedesco Karl von Heigel (Monaco di Baviera 1835 – Riva 1905): una novella (Die Veranda am Gardasee), del 1879, un romanzo breve (Am blauen Gardasee!), del 1899, e due racconti (Das Radlerfest in Arco e Frau Bergemann auf Sermione), del 1904. È in particolare sul romanzo che mi voglio soffermare.

Una cartolina storica di Tremosine ai primi del secolo scorso a corredo del libro “Sull’azzurro lago di Garda” curato da Paolo Boccafoglio che contiene la traduzione di quattro testi dello scrittore tedesco Karl von Heigel (Monaco di Baviera 1835 – Riva del Garda 1905) una novella del 1879, un romanzo breve del 1899 e due racconti del 1904

Ne sono protagoniste due coppie in crisi, ospiti dell’hotel Sole di Riva: una formata dal grigio burocrate, consigliere di pretura, signor Hagen, e dalla baronessa Helene, nobile decaduta, debole di nervi, portata per l’arte e la musica, segretamente innamorata del cugino, barone von Roda; l’altra con mister Browning, un inglese chiuso e riservato, studioso e seguace di dottrine teosofiche e orientali, e l’americana Adrienne, figlia di un ricchissimo usuraio, bella, fredda, calcolatrice, insidiata da Talbot, un giovane avventuriero di Città del Capo. Tutti provengono da Berlino e tutti capitano a Riva per ragioni di salute; il loro incontro con l’ambiente gardesano avviene nella tarda estate e suscita emozioni forti.

Ad un certo punto, il vecchio zio Biedermann, messosi sulle tracce di Adrienne, fuggita con il supposto amante, si sposta con il battello lungo la sponda occidentale del lago. Ed è così che nel romanzo si ha una descrizione breve ma significativa del caratteristico paesaggio della falesia tremosinese:

«Quando il battello ebbe lasciato dietro di sé Limone, Biedermann andò in coperta. La maggior parte dei passeggeri erano tedeschi, un pubblico pieno di gratitudine per lo spettacolo che il lago e le sue rive offrivano. Sì, anche il lago era un quadro di per sé, quando si impennava in onde coronate di spuma… o dove, in tranquille baie, rispecchiava la contrada. Ed ora aveva il meraviglioso colore azzurro che non è un riflesso di quello del cielo come in altri laghi. Il battello scivolò vicino ad alte, nude rocce. Emergono a perpendicolo dall’acqua, solcate da numerosi canaloni, sono di roccia sbiancata, qua e là colorate di rosso o annerite, qui distese a strati l’una sull’altra, là di nuovo erette in verticale, straordinarie tavole con iscrizioni, un capitolo della storia della terra.

Il battello si fermò nella baia di Tremosine. Su di un’angusta striscia di terra si alzavano un paio di miseri edifici. Una barca si staccò dalla riva e andò a prendere alcuni passeggeri sul castello di prua: una contadina con una mezza dozzina di ceste, un paio di contadini in traliccio (fustagno) color verde oliva e un anziano e magro sacerdote in una logora veste talare e con un cappello a tre punte di foggia antica. Dove voleva andare quella gente? Da entrambe le parti la roccia precipita nell’acqua, dietro le case sale per più di trecento metri con un’ampia fronte, ma scoscesa. Soltanto qua e là un cedro o un olivo si erge dai crepacci. Un torrente – il Brasa – si é scavato una gola, se ne scorge dal battello per un momento l’acqua che precipita e la sua schiuma. Tuttavia molto in alto sulle creste delle rocce si stagliano nell’azzurro carico del cielo bianchi muri e un campanile; le cime di un gruppo di alberi si inarcano a mò di verde ciglio e vicino al precipizio c’è un punto panoramico. Ed ora Biedermann scorse nella parete rocciosa un sentiero a zigzag che portava in alto. Quando il capitano lasciò il ponte di comando, Biedermann gli si avvicinò. “Una via del diavolo là sopra, signor capitano! Come?”

Il capitano mise educatamente la mano al berretto bianco. “Non così brutto come sembra, signore. Un uomo come il curato, vigoroso nel camminare e a casa sua sui monti, in mezz’ora arriva su.”

Biedermann, dominato da un pensiero, disse: “Per una coppia di amanti che voglia nascondersi al mondo, sarebbe il posticino giusto.”

“Lassù non si è poi tanto separati dal mondo e dimenticati. Dal battello lei ha visto solo un pezzetto di Pieve di Tremosine. È un posto magnifico: un altipiano di terreno fertile con più di una dozzina di villaggi.”».

Il battello continua poi il suo tragitto verso Gargnano e Salò. Resta, nella descrizione, questa pennellata sul porticciolo, sui contadini, sull’anziano e magro sacerdote, sul sentiero “impossibile” per Pieve. Una pagina che mi ha fatto tornare alla mente le perplessità di Luciano Turri, giovane medico in procinto di salire a Tremosine per prendervi servizio, appena sbarcato dal piroscafo.

Era il 1899, lo stesso anno di quello del romanzo; allora toccò al battellante e procaccia Prenguber rincuorare il viaggiatore salendo il sentiero «tutto a sbalzi e gradini e punte di roccia affioranti», con parole molto simili: «Dopo le case che Lei vede e che formano il capoluogo del Comune, si apre uno splendido altipiano…». Insomma, ”splendido” per Prenguber e Turri, “magnifico” per Heigel.

Oltre che della traduzione italiana sarebbe interessante disporre del testo originale, in lingua tedesca: un bel biglietto da visita da proporre anche ai molti turisti che scelgono Tremosine per un soggiorno o una visita.

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