Un sommesso e commosso ammainabandiera ha sancito in questi giorni la cessazione dell’attività di custodia del carcere militare arilicense. Ormai la data è ufficiale: con il 31 dicembre la struttura chiuderà i battenti. Termina così una vicenda sulla quale sono state sollevate non poche perplessità: sulle conseguenze per l’allontanamento dagli affetti e dalle sedi processuali di detenuti che qui avevano trovato un ambiente certamente rispettoso della loro dignità; sul destino di una struttura messa a riposo nonostante gli investimenti fatti (la decisione di chiudere il carcere è arrivata con ancora in corso i lavori di adeguamento dell’impianto elettrico); sul finanziamento europeo di 300 milioni ottenuto per il riconoscimento del corso di legatoria, che rappresentava un concreto strumento per il reinserimento nel mondo del lavoro di chi da qui usciva dopo aver scontato la pena. A nulla, nei mesi scorsi, sono valse le proteste di detenuti, che hanno dato vita anche ad uno sciopero della fame, dei loro familiari, di politici e rappresentanti sindacali delle forze di polizia, dei volontari che si occupavano delle attività all’interno del carcere: non c’è stato niente che abbia comportato un ripensamento del provvedimento. Per effetto delle nuove disposizioni organiche, il carcere militare di Peschiera del Garda dal primo gennaio 2001 diventerà sezione quadro del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere; dalla stessa data in questa sede inizierà l’attività del nucleo stralcio, una sorveglianza minima della struttura che durerà tra i nove e i 10 mesi; successivamente la fortezza austriaca, opportunamente predisposta, rimarrà nella disponibilità delle forze armate, nell’eventualità che si renda necessario riattivarla, in relazione a mutate esigenze. Nessun passaggio di consegne ad altro ministero, dunque, come ventilato alcuni mesi orsono quando la notizia della chiusura del carcere militare era stata accompagnata da quella sulla sua possibile trasformazione in penitenziario civile. Dopo aver ricordato la storia dell’edificio, nato come ospedale militare negli anni del dominio austriaco e utilizzato come luogo di vigilanza e custodia già agli inizi del secolo, il comandante Bresaola ha sottolineato l’impegno profuso in questi anni per garantire a chiunque, anche a chi arrivava reo di reati gravi, un trattamento rispettoso non solo delle norme di legge ma anche della persona e della sua dignità. Il comandante ha voluto altresì ringraziare, per la collaborazione trovata, l’amministrazione comunale, il parroco di San Martino, la Caritas di Cavalcaselle e le locali associazioni di volontariato per quanto fatto a favore del personale dipendente e, soprattutto, per i detenuti; allo stesso modo ha ringraziato gli ufficiali e i sottufficiali e il personale di leva, quest’ultimo per aver svolto, nonostante la giovane età, il proprio delicato incarico con spirito di sacrificio e totale disponibilità. Scende così il sipario su uno dei luoghi più particolari della cittadina arilicense, silenzioso e imponente testimone di difficili e complesse vicende umane. Proprio in questi ultimi anni la struttura aveva perso parte del suo distacco dalla vita di un paese che, in qualche modo, si era riavvicinato al carcere e che ora attende di conoscere quale nuova funzione avrà.
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