Per l’undicesimo anno consecutivo il gruppo dei volontari di San Felice del Benaco e delle località vicine ha effettuato la spedizione in Guinea Bissau, completando la costruzione di una casa delle suore dell’Immacolata, iniziata l’anno scorso. E adesso sta riempiendo i container con una scuola prefabbricata, che verrà rimontata in terra africana. Venticinque persone hanno trascorso il mese di gennaio e i primi giorni di febbraio a Mansoa, una sessantina di chilometri dalla capitale, ultimando una struttura di 200 metri quadri coperti, più una veranda di 50 mq. Servirà ad accogliere le ragazze madri, che vengono a chiedere il latte in polvere, a curare i bambini, ecc. Nella zona i parti gemellari sono numerosi. Data la scarsa alimentazione, le mamme non riescono a nutrire entrambi i bebè e, spesso, abbandonano il più debole. Per evitare che ciò accada, le missionarie distribuiscono latte in polvere per il periodo dello svezzamento. I volontari hanno poi montato un serbatoio da 6.000 litri, a Bissau, sostituendone uno fatiscente, non più riparabile. «Avevamo una decina di aiutanti locali – rammenta Annibale Bissolati, coordinatore del gruppo assieme a Mattia Manovali -. Alla fine, pitturata la casa, le suore hanno fatto il trasloco, abbandonando il vecchio edificio, ormai diroccato, con le termiti che avevano intaccato le mura e i tetti». Per far fronte alle spese e finanziare gli interventi, a San Felice tengono concerti, raccolgono ferro, alluminio e…offerte. Organizzano la tradizionale «Camminata per l’Africa», coinvolgono le scuole (i ragazzi si privano di qualcosa, creano degli oggetti da vendere e poi consegnano il ricavato), si dedicano al mercato equo-solidale (vendono collane della Guinea, ricami di una cooperativa di donne del Bangladesh, ecc.), effettuano adozioni a distanza. Diciotto i volontari che, nel ’92, hanno deciso di partire per una terra lontana e sconosciuta: la Guinea Bissau, un’ex colonia portoghese, situata sulla costa atlantica. Con gli anni, il mal d’Africa ha coinvolto parecchie altre persone: di Roè Volciano, Salò, Polpenazze, Villanuova, Calcinato, Lonato. Tanto da arrivare a un numero di 85, tutti accomunati dallo stesso desiderio di solidarietà: portare aiuto a una popolazione priva di mezzi. Il periodo propizio per andare è il mese di gennaio, sino ai primi di febbraio. Motivo principale, il clima favorevole (non piove e il caldo è sopportabile, pur raggiungendo i 30-35°). Il primo intervento, nel gennaio ’92, a Mansoa, una cittadina a 60 chilometri dalla capitale Bissau, per realizzare un nuovo edificio polivalente, di 350 metri quadrati (poi adibito a scuola di cucito, ambulatorio, servizi igienici, locali per incontri), circondato da un ampio porticato, ritenuto elemento indispensabile nella cultura abitativa africana. Nel ’93, a Bissorà, 100 chilometri dalla capitale, la ristrutturazione di un edificio esistente, per complessivi 430 mq. (alloggi delle suore missionarie, sala cucito e altre stanze pluriuso). Nei due anni successivi, sempre a Bissorà, la costruzione della chiesa parrocchiale a pianta poli gonale, di 400 mq., con un portico di 200 mq. e gli affreschi dietro l’altare. Margherita, una volontaria: «Non sapevo quali colori portare. Così ho scelto i più allegri e i più forti. E ho dipinto un grandissimo albero di poilon, la pianta sacra». Nelle due spedizioni seguenti, la realizzazione della casa polivalente a Bissau: 400 mq. più 200 di porticato. Nel ’98, a Quelele, il centro per le suore francescane (300 mq.): accolgono ragazze che studiano, garantendo loro vitto, alloggio e copertura delle spese scolastiche. Nel ’99, a causa della guerra, si è cambiata rotta, andando in Brasile, a San Paolo (rifatto il tetto di un asilo e di un centro di formazione per adolescenti). Nel 2000 di nuovo a Bissau, a riparare i danni provocati dal conflitto. L’anno scorso, a Mansoa, l’inizio della costruzione della casa per le suore e, a Quelele, l’installazione di un serbatoio da 3.000 litri per l’acqua potabile, appoggiato a una struttura tralicciata in ferro, alta sei metri. Là hanno paura a scavare i pozzi: andando sotto terra, restano magari senza respiro, e danno la colpa agli spiriti. Appena tornati dall’Africa, si diceva, i volontari stanno ora sgobbando con un prefabbricato delle Carpenterie Ghedesi, realizzato su progetto dell’ingegner Roberto Benedetti. Devono mettere le travi metalliche e la copertura di pannelli coibentati nei container. Poi li manderanno in Guinea via mare. La struttura, di circa 600 metri quadri, verrà montata a N’Dame, dieci chilometri da Bissau. Diventerà una scuola (in parte) e un pensionato (il resto) per ragazze madri. Le suore hanno deciso di scommettere sulle donne.
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I volontari, appena rientrati dalla Guinea Bissau, lanciano un nuovo progetto. Realizzata in fabbrica a Ghedi, sarà rimontata in Africa
Una scuola dentro i container
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