domenica, Dicembre 22, 2024
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Coro La Rocca di casa in casa per le biganàte

Un’antica tradizione

Hanno cominciato lunedì sera per finire solo il 6 gennaio: è il lungo «tour de force» dei cantori del coro La Rocca, impegnati nelle tradizionali «biganàte» i canti augurali portati di casa in casa. Come ogni anno, i coristi diretti da Giorgio Avanzini saranno attivissimi tutte le sere nel periodo natalizio: ci sono famiglie che prenotano con largo anticipo il loro passaggio. Stavolta la maratona canora è iniziata al mercatino del lungolago, sotto il tendone dello stand gastronomico del Natale tra gli olivi», dice Beppe Bertamè, inossidabile presidente della corale gardesana . «Lo stand è stato gestito dall’associazione albergatori, che ci ha chiesto di fare qualche canta natalizia. Per noi è stato l’avvio delle nostre “biganàte”, che andranno avanti fino all’Epifania». E sarà proprio attorno al falò dell’Epifania, allestito in piazza il 6 gennaio, che avrà termine quest’ennesima faticata dei coristi. Nel frattempo, non paghi di cantare ogni sera, si concederanno anche un concerto nel giorno di Natale: il 25 dicembre, alle 17, si esibiranno davanti al grande presepe del parco della Rimembranza. È praticamente dall’anno della fondazione, il 1956, che il coro La Rocca tiene viva a Garda la tradizione antichissima delle «biganàte». Il repertorio di cante di Natale messo insieme negli anni è notevolissimo. Il più bello fra i canti natalizi gardesani è forse quello dei «Tre Re», «Noi siamo lì tre Re venuti da l’Oriente per adorar Gesù, che l’ è un Re dei superiori de tuti li magiori de quanti che al mondo ne furono giammai». A ogni tappa è un «vegnì dentre a béver en gòto: ci vuole gran fisico per reggere. Tant’è che in genere il coro parte compatto e poi, di sera in sera, le fila si vanno assottigliando.» Un tempo, quando di quattrini nelle tasche dei gardesani ne giravano ben pochi, le «biganàte» più ambite erano quelle che si facevano sotto le case dei ricchi. Ci si andava infagottati nei pastrani, portando la stella e cantando a squarciagola, aspettando poi che qualcuno facesse segno d’entrare a bere un bicchiere. Allora, come racconta Pino Crescini nel suo libro «Parole che muoiono», presentato pochi giorni orsono, «il loro capo appoggiava al muro il bastone con la stella a cinque punte ed entrava contegnoso coi compari». Non sempre però le porte s’aprivano. «O che z ê nt ostinata, che gn ê nt no i ne porta: fénghela su la porta e scapém via!» si gridava allora. Vendicandosi dell’affronto patito. Dice poi Crescini che il termine «biganàta» deriverebbe dal tedesco Weihnacht, ossia Natale, notte santa. Sarebbe insomma il dono natalizio. Marangoni, che scrive di Caprino, dove si parla non già di «biganàta» ma di «gabinàta», ipotizza un connubio fra gabe – dono – e nacht – notte: «la notte del dono divino, la nascita del Salvatore». È probabilmente invece la notte paganeggiante del dio sole: secondo molti storici, il Natale cristiano si sarebbe infatti sovrapposto a queste antichissime ritualità. Punto di congiunzione fra l’antico culto solare e il Natale cristiano restano dunque oggi le «biganàte», mantenute in vita a Garda dal coro La Rocca.

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