lunedì, Dicembre 23, 2024
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«La nostra casa», presente e futuro dell’accoglienza. Il vescovo: «Entrare qui è trovare il sole dopo tante nebbie»

Venticinque anni di attività con don Bruno

Sono stati due appuntamenti diversi ma ugualmente intensi quelli con i quali, venerdì sera e ieri mattina, l’associazione onlus «La nostra casa» – fondata con un gruppo di volontari da don Bruno Pozzetti – ha festeggiato i suoi 25 anni di attività dedicata all’accoglienza. Venerdì la sede di località Palazzo, a San Benedetto di Lugana, ha ospitato una tavola rotonda sul tema «Verona di fronte alle nuove povertà e solitudini»: insieme a don Bruno hanno raccontato le loro esperienze suor Valeria Gandini (Centro ascolto Caritas per le vittime della prostituzione); don Carlo Vinco (associazione Il Cireneo, che segue malati di Aids), don Renzo Zocca (Fondazione L’Ancora per il disagio sul territorio). Introducendo argomento e relatori don Pozzetti ha prima ricordato l’attività di accoglienza de «La nostra casa», oggi strutturata in tre distinti servizi: il Centro educativo occupazionale diurno, che ospita 15 disabili psicofisici dal mattino cui se ne aggiungono una decina nel pomeriggio per l’attività psicomotoria; la Comunità alloggio, o casa famiglia, che accoglie nove disabili; il centro socio-riabilitativo, oggi frequentato da otto persone (ma ne può seguire 15) con cerebrolesioni esiti di traumi cranici o vascolari e che per l’aspetto terapeutico si avvale della collaborazione dell’istituto Don Calabria. «Ma questo è anche luogo di accoglienza e di ascolto per le persone indigenti o in difficoltà. Questo è un luogo di riflessione sui molteplici aspetti delle situazioni di marginalità e devianze, alle quali cerchiamo di dare risposta alla luce della parola di Dio. Anche in questo caso la Casa fa cultura», ha sottolineato il fondatore dell’associazione, ricordando che la tavola rotonda voleva dare visibilità «a una chiesa che non è solo quella che celebra ed evangelizza, ma è anche quella che vive nelle sue prassi una testimonianza strutturata della carità». Esperienze di un impegno che rivendica la piena ecclesialità ed é testimonianza della Diocesi al pari di ogni altra. C’era anche questo nel racconto dei religiosi che lavorano ogni giorno con prostitute, malati di Aids, persone in difficoltà. «Solo la politica e le istituzioni possono e devono fermare il traffico organizzato di esseri umani», ha detto suor Valeria, «la mia è invece l’esperienza con le sue vittime, iniziata nel gennaio del 1996. Molte donne venivano al centro di ascolto chiedendo aiuto per trovare un lavoro o i documenti per lasciare la strada». Vicende non sempre conclusesi con esito felice. «Ricordo Mary, 17 anni, aveva la broncopolmonite. Dormiva nei cassonetti. Le avevano detto: se stai tanto male vai a Verona, alla Caritas. Le avevamo trovato un lavoro ma un giorno mi ha portato un foglietto di carta e ha detto: “me ne devo andare”. Le chiedevano soldi e lei è scappata. Mesi dopo una telefonata e da allora niente più notizie». Oppure «la giovane mamma di una bimba di pochi mesi. Non sono riuscita a trovare né una casa né un lavoro per lei e non ho più saputo niente». Storie di una lotta difficilissima, «perché le statistiche dicono che non c’è mai stata tanta schiavitù come oggi. Ma quando si salva un essere umano si salva l’umanità. E non si può avere idea della forze e del coraggio che ho trovato in queste donne». Una forza comune ad altre situazioni estreme, come quelle incontrate da don Carlo nel suo lavoro con i malati di Aids che, dice, «mi hanno aiutato a capire che al di là del rifiuto conta la scoperta della persona. La cosa più grande é guardare al cuore delle persone». Tante le vicende: storie di rifiuto e di emarginazione e il sollievo provato anche solo nell’esser nuovamente accolti da qualcuno. Le esperienze di disagio tra gli immigrati delle ex cartiere Fedrigoni o tra i giovani che non trovano la vita e se stessi e la gettano nel buco di una siringa o facendola finita. «Come si può rimanere fermi di fronte a questo?», ha detto don Zocca parlando dei suo inizi verso un modello di parrocchia, «così la chiamo io», che accoglie tutti: dai più piccoli agli anziani. «Penso a un modello come ho visto in Emilia: accanto alla chiesa e alle aule di catechismo c’è la casa della carità o accoglienza che dir si voglia. Ce ne sarà sempre più bisogno visti i tempi che viviamo». Un futuro di accoglienza come chiave per migliorare il presente e impostare il futuro: un impegno in qualche modo condiviso dal vescovo di Verona, padre Flavio Roberto Carraro, che ieri mattina ha celebrato la messa per i 25 anni de La nostra casa. «Entrare in luoghi come questi è come trovare il sole dopo tante nebbie: le nebbie della nostra società. Quello è un mondo che andrà alla deriva se non si rifà e il modo di rifarsi è questo. Queste realtà sono il sole della speranza concretizzata. Qui vediamo i fatti che ci dicono dell’amore di Dio».

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